Storie di grande passione. Piloti dei quali si parla meno, ma che sono importanti
per il Challenge Raceday, per le gare che ne fanno parte e per i rally
“Raceday Ronde Terra è
il vero spirito delle corse”
di Guido Rancati
Si può fare. Non ricordo cosa risposi all'invito
di Alessandra de Bianchi a seguire la prima
edizione della Ronde Balcone delle Marche,
ma il primo pensiero era che sì, si poteva
fare. E non solo per dare una mano a una collega brava e un'amica vera: quello che di lì a
poco sarebbe andato in scena su una prova
speciale marchigiana era il primo appuntamento di una serie, Raceday Ronde Terra,
che Alberto Pirelli s'era inventato per dare la
possibilità di correre sulla terra a quelli che
non avevano un budget importante a disposizione e a quelli che il budget magari l'avevano, ma avevano poco tempo da dedicare
alle corse. Esserci mi era parso interessante.
Così, in un venerdì di novembre, mi ero ritrovato a vagare nella nebbia di Cingoli alla ricerca del quartier generale della gara. A
sfinire Oriano Agostini che, a meno di venti
ore dalle verifiche aveva cose serie a cui pensare, con improbabili appelli. Maledicendo in
egual misura il mio men che scarso senso
dell'orientamento e la scelta dell'operatore
telefonico di non fornire una copertura decente al borgo.
Pensieri (e parole) destinati a dissolversi in
fretta nel tepore della casetta trasformata in
quartier generale della manifestazione. Poi
l'incontro con il gran capo, il suo coinvolgente
entusiasmo. La sua voglia di fare anche sporcandosi le mani – nel senso più letterale dell'espressione – a spostare transenne insieme
a suo figlio Nicolò. Che avrebbe voluto essere
dall'altra parte del tavolo, insieme a piloti e
copiloti, per correre. “Ma con un'auto piccola,
perché con una grande farei solo danni più
grandi”. La fulminea risposta di Gigi Galli, uno
che la terra l'ha amata davvero – all'obiezione
che, per quanto tecnico, un tratto di una decina di chilometri pur ripetuto quattro volte è
un po' poco per fare amicizia con le strade
bianche: “Prima di imparare ad andare in bicicletta è bene fare esperienza col triciclo”.
La superficiale, autoassolutoria osservazione del federalotto salito dal mare
all'irto colle per dare un'occhiata davanti ai marchi di
sponsor
importanti:
“Quando ci si chiama Pirelli
è facile sfruttare la conoscenza con alti dirigenti per
coinvolgere aziende di
peso. Basta un giro di telefonate...”. La pronta replica
di uno degli addetti ai lavori
più stimati dell'ambiente:
“E' vero, però lui quelle telefonate le ha fatte”.
Poi la gara vinta da Paolo
Ciuffi con una Toyota Corolla davanti a Tonino
Marchesini con una Ford Focus e ad Alessandro Taddei con una Mitsubishi Lancer Evo IX.
La festa finale con la distribuzione di coppe,
trofei e quant'altro. Gli applausi e le pacche
sulle spalle, anche i sani, inevitabili sfottò dei
vincitori ai vinti. Il clima goliardico, quello che
avvolgeva le corse su strada quando ancora
il Bel Paese era terra di santi, poeti, navigatori
e piloti.
Era il duemila e otto. Da quel fine settimana
di tardo autunno, di acqua sotto i ponti ne è
passata parecchia (e purtroppo ne è passata tanta anche sopra i ponti, non solo nel
martoriato Friuli di quest'ultimo inverno). Con
la loro presenza, maturi gentleman-driver e
giovani di belle speranze hanno consolidato
il successo della serie. Cantastorie ormai in
là con gli anni, ho registrato gioie e delusioni.
Sono stato spettatore di gesta e di gesti, ho
visto nascere e consolidarsi amicizie vere.
Ho respirato aria non inquinata da sciocche
ripicche, da sospetti
sparsi nel vento. Ho scoperto che un altro modo
di correre è possibile e mi
sono trovato a chiedermi
perché lo spirito di Raceday – e quello dell'International Rally Cup – non
alberghi ovunque. Una risposta certa la sto ancora cercando. So però
che non è una questione
di posta in palio: le due
serie
distribuiscono
premi importanti, più pesanti assai di titoli e titoletti ormai svalutati...
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