PACE di Rivolta d’ Adda Reliquiario della Croce
La riposta alla richiesta di autorizzazione alla vendita è data con dispaccio del 21 gennaio 1881 da parte del Ministero dell’ Istruzione Pubblica alla Sotto Prefettura di Crema e da questa comunicata alla Fabbriceria di Rivolta d’ Adda il 5 febbraio 1881( di questa in archivio esiste un documento per copia conforme). La stessa comunicazione( in originale) è data il 7 marzo 1881 dal Regio Sub-Economato di Crema. La risposta, in conclusione di alcune considerazioni interessanti, è negativa e, mi pare, abbastanza dura.“ Io-scrive il ministro- non posso dunque autorizzare la suddetta Fabbriceria alla vendita proposta”. E prima scriveva:“ La risoluzione in cui è venuta la Fabbriceria di Rivolta di vendere un lavoro di smalto riconosciuto da Essa Stessa e dall’ Ispettore degli Scavi come di finissimo e preziosissimo lavoro della migliore scuola del quattrocento, mi ha recato non lieve sorpresa, poiché è sacro debito delle Fabbricerie la buona conservazione e gelosa custodia, non l’ alienazione di oggetti d’ arte e d’ antichità delle Chiese, alle quali sovrintendono. E duolmi di dover constatare che non rare domande di simil genere provengono a questo Ministero, di guisa che, se si esaudissero, più si propagherebbe codesta perniciosa indifferenza pei monumenti antichi, e in breve tempo di questi si spoglierebbero affatto le Chiese”. Il ministro lasciava aperto però uno spiraglio, nel quale si infileranno i successivi tentativi. Egli si diceva disposto ad accordare il permesso di vendita, solo nel caso l’ opera“ venisse acquistata o dal Municipio locale pel proprio Museo, o per lo stesso scopo da codesto capoluogo di Provincia”. Ma la Fabbriceria non demorde. In una lettera del 2 gennaio 1883 indirizzata a Luigi Forti che era tornato alla carica per l’ acquisto dell’ oggetto, suggerendo fra l’ altro di saltare l’ iter burocratico dell’ approvazione da parte delle competenti autorità, dopo aver ricordato la proibizione di venderla senza le debite autorizzazioni si scriveva che“ la Fabbriceria però intende di rinnovare le pratiche presso le Superiori autorità per poterlo almeno vendere presso qualche Museo patrio”. In effetti si trova in archivio una carta senza data e senza firme che ha tutta l’ aria di essere una bozza di domanda che poi non è stata inoltrata. E’ indirizzata da parte della rinnovata Fabbriceria al Subeconomo di Crema: presentata la vendita come necessaria per rifare il pavimento della chiesa ed altre spese, dopo aver richiamata la domanda della precedente(“ cessata”) Fabbriceria e la risposta negativa del Ministero,“ farebbe preghiera a codesta inclita Magistratura Provinciale di nuovamente inoltrare, con suo favorevole voto, all’ Eccelso Ministero dell’ Istruzione Pubblica la presente istanza”, impegnandosi“ ad ottenere onorata vendita, ma sempre però all’ interno dello Stato, come, Milano, Torino, Firenze, Napoli e Roma”. Ma, così sembra, tutto è rimasto nelle intenzioni. Un nuovo reale tentativo, documentato dalle copie scritte a mano delle domande inoltrate e dalla risposta ancora negativa dell’ autorità competente, è fatto nel 1896.
Lo schema delle domande è un po’ sempre lo stesso, ma con delle varianti che mi pare valga la pena conoscere. Nella domanda al Ministero della Pubblica Istruzione stesa il 28 agosto 1896 dopo aver decritto il cimelio ed averne motivato la vendita con le esigenze finanziarie della Fabbriceria, si chiede di venderlo allo stesso ministero della Pubblica Istruzione e in linea subordinata, qualora il ministero non intenda farne acquisto, al barone Giuseppe Villa di Casalmonferrato che offrirebbe lire 8000( segno che le trattative per la vendita ai privati erano andate avanti anche dopo il 1880). Di nuovo, in questa domanda, ci sono altre motivazioni, oltre quella economica, addotte forse per avere parere favorevole. Si dice infatti che“ l’ oggetto giace da parecchi anni custodito in appropriato ripostiglio sconosciuto da tutti e di nessun servizio e utilità alla chiesa, essendo affatto fuori d’ uso per il culto”. Faccio notare che sono passati appena quattro anni dalla compilazione della scheda secondo la quale l’ oggetto“ si usa al bacio dei fedeli”: Possibile che nessuno ricordasse che fino a qualche anno prima fosse ancora utilizzato? La motivazione addotta ha tutta l’ aria di essere un gioco al ribasso per ottenere più facilmente l‘ autorizzazione, che però ancora una volta non è concessa. Il Regio subeconomato di Crema, attraverso il quale il 1 settembre dello stesso anno è inoltrata la domanda, risponde il 17 dicembre 1897 che“ la Provinciale Commissione consultiva conservatrice dei monumenti con deliberazione 16 Settembre approvata dal Ministero della Istruzione pubblica con lettera 29 Novembre successivo N. 6947 si è dichiarata contraria alla vendita della preziosa pace d’ argento”. E ricorda che la vendita dell’ oggetto è subordinata al permesso di due ministeri, quello della Istruzione e quello di Grazia e Giustizia e che se uno lo nega non è il caso di chiederlo all’ altro; e ancora che il prezioso cimelio, già inserito nel catalogo generale degli oggetto d’ arte,“ dovrà essere gelosamente custodito da codesta Fabbriceria a scanso di spiacevoli conseguenze”. Tutto finito, allora? Dai documenti rimasti parrebbe di sì. Sennonché la deliberazione della Fabbriceria del 16 novembre 1902, con la quale accede alla richiesta della Commissione dei restauri di mettere a disposizione“ La Pace” perché sia venduta, ricorda che“ la Fabbriceria per mezzo del Pretore di Pandino l’ anno scorso nel mese di giugno, mentre veniva diffidata della vendita del prezioso Cimelio a privati, veniva informata che il Ministro Nasi avrebbe permesso la vendita quando l’ acquirente fosse stato un Museo di provincia”. Il che fa supporre che i tentativi di vendita erano proseguiti anche dopo il 1987 e fino al 1901. Ma siamo giunti all’ atto finale e questa volta tutto procede senza particolari intoppi e in tempi abbastanza celeri: in poco più di un anno si passa dal primo atto ufficiale alla vendita.
28 29