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rappresentata una sua Commedia al Teatro Girolamo: Mamma Teresa. Attori: i giovani della Filodrammatica Milanese. Spettatori: gli amici “entusiasti e chias- sosi”. Successo straordinario. Notte memorabile, con cena offerta a cinquanta persone nella trattoria di via Orefici. Risultato: una sbornia omerica, l’autore tornato a casa con la giacca priva di una manica e il cappello ridotto alla sola tesa, il conto pagato dal … “buon papà”. […] Bertolazzi cessò la sua attività di commediografo militante un decennio prima della morte, avvenuta il 2 giugno 1916. Non aveva che 45 anni. Il giorno seguente, 3 giugno, sul Corriere della Sera appariva un commosso articolo di Renato Simoni che poneva in luce la per- sonalità e il valore umano ed artistico di Carlo Bertolazzi, lamentando che le scene italiane perdessero in Lui per sempre una parte della loro giovinezza. Delle sue trenta e più commedie, rimangono oggi vive e valide poco più di cin- que; che poche non sono, se si pensa ad altri autori a Lui contemporanei e che godettero maggior fama, e oggi sopravvivono per uno o due lavori (per non parlare di quelli che figurano solo nell’elenco dei teatranti per merito esclusi- vo di qualche infaticabile ricercatore). Le elenchiamo: La Gibigianna (ritenuta da critici come Benedetto Croce, Federico Federici e Giulio Cattaneo l’opera migliore di Carlo Bertolazzi, Lulù, L’egoista, El nost Milan, La casa del sonno, L’amico di tutti. […] La Critica e la Storia della Letteratura pongono Carlo Bartolazzi tra gli autori del verismo e del naturalismo lombardo. Renato Simoni ha scritto che “era dotato in campo teatrale, possedeva eccezionali qualità di drammaturgo e si distinse nettamente dai commediografi borghesi del suo tempo anticipando soluzioni molto più moderne, disegnando personaggi di una esuberante ric- chezza interiore, rendendo distinti e riconoscibili i volti della folla, anche nelle agitazioni di massa. Nell’erompere delle passioni non ebbe la fortuna che si meritava. E non fu fortunato nemmeno con la vita, perché la malattia - la 40 tubercolosi - lo colpì nel momento in cui la sua forza vergine di artista doveva purificarsi dal tumulto del suo primo impeto”. Il male lo distrusse lentamente in dieci anni: lo tenne mesi e mesi a letto. Ricorda ancora Renato Simoni: “La malattia lo ridusse ad una figura pallida ed esile. Cereo, disfatto, appog- giato al bastone. Alla sera lo vedevano nei teatri, ma solo, fuori da ogni grup- po; come chi guarda la scena e le sue vicende da lontano, da testimonio muto e rassegnato, lui che era stato tutto lucente di gioventù e di sorrisi… e i giorni spuntavano in lui leggeri, variopinti, serenamente avventurosi”. Ma un’altra ragione c’è, a spiegare la limitatezza dei suoi successi. E lo dimo- stra il fatto che le sue opere più belle, riprese già e rappresentate a Milano con successo dalla Compagnia Ferrari-Besozzi nel 1939-40 hanno destato un rinnovato interesse in anni molto vicini a noi. La ragione è che solo un pubbli- co più largo e più maturo poteva scoprire la veemente carica drammatica del migliore Bertolazzi e la sua modernità davvero aggressiva. Anche se molto è dovuto a pretesti di regia, anche se molti, per dirla con Cattaneo, si sono buttati sulle sue opere “alla ricerca affannosa e un po’ risibi- le di un contenuto sociale rivoluzionario indispensabile per un Gorkij italiano”, Carlo Bertolazzi ha potuto far ritorno sulle scene a portare ancora una volta l’appassionato grido di chi soffre nella dolorosa ricerca di una propria ragione di vita. E nei suoi personaggi si muove tutta una umanità: gente delusa da una ricchezza non meritata e non tradotta in azioni nobilitanti, gente vinta dalla miseria morale ed economica, gente disorientata che si abbandona all’inerzia spirituale e si cancella nell’anonimato umano. Questo è quanto di meglio ci ha dato. E non è poco. A noi concittadini suoi, il dovere di onorarlo: la sua gloria è anche, in parte, gloria di tutti noi. E U G ENIO D E S T I N C AL V I B A L O S S ! C A R L O B E R T O L A Z Z I A C E N T O A N N I D A L L A M O R T E 41