EDITORIALE di Paolo Spinelli( paolo. spinelli @ dbinformation. it)
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11 novembre 2025 resterà una data storica per l’ industria italiana del riciclo della plastica. Quel giorno, Assorimap – l’ associazione che rappresenta il 90 % del comparto nazionale – ha annunciato la chiusura temporanea degli impianti. Una decisione estrema, maturata dopo mesi di appelli inascoltati al governo. « Continuare a produrre con perdite insostenibili è ormai impossibile », ha dichiarato il presidente Walter Regis. Non è un gesto dimostrativo, ma la presa d’ atto di una crisi profonda. Gli impianti sono al limite, i piazzali colmi, le aziende schiacciate tra i costi energetici più alti d’ Europa e la concorrenza sleale delle importazioni di materiale vergine e riciclato a prezzi stracciati. In tre anni gli utili del comparto sono crollati dell’ 87 %, il fatturato del 30 %. E mentre il governo rinvia decisioni, il sistema nazionale del riciclo rischia il collasso. La crisi italiana si inserisce in un contesto europeo altrettanto preoccupante. Secondo stime recenti, entro la fine del 2025 l’ UE perderà quasi un milione di tonnellate di capacità di riciclo rispetto al 2023. Un paradosso per il continente che vanta le politiche ambientali più avanzate. Ma la causa non è la normativa europea, bensì la distorsione di un mercato globale dominato dall’ eccesso di offerta di plastica vergine. Negli ultimi anni, Stati Uniti, Cina e Paesi del Golfo hanno costruito impianti petrolchimici di grande capacità per compensare il declino dei combustibili fossili. La produzione supera di gran lunga la domanda e il prezzo della plastica vergine, sostenuto da sussidi e materie prime a basso costo, è sceso a livelli che rendono impossibile competere per chi ricicla. È il cortocircuito perfetto: chi produce in modo sostenibile è penalizzato da un sistema che premia il consumo di materia prima fossile. In questo scenario, i riciclatori chiedono misure urgenti: anticipare al 2027 l’ obbligo di contenuto riciclato negli imballaggi, introdurre crediti di carbonio per la materia prima seconda, estendere i certificati bianchi e rafforzare i controlli sulle importazioni extra-Ue. Non si tratta di protezionismo, ma di garantire condizioni di concorrenza eque per chi investe in economia circolare. Il fermo degli impianti italiani è un segnale che non si può ignorare. Se il Paese e l’ Europa non interverranno con una politica industriale coerente, capace di rendere il riciclo economicamente sostenibile, la transizione circolare resterà un ideale privo di basi produttive. Oggi si ferma il riciclo. Ma, senza una svolta, domani rischiamo di fermare anche l’ idea stessa di un’ economia europea capace di coniugare competitività e sostenibilità.
Il giorno in cui si è fermato il riciclo
IL BLOCCO DEGLI IMPIANTI DI ASSORIMAP METTE A NUDO LE CONTRADDIZIONI
DELLA TRANSIZIONE CIRCOLARE
EUROPEA.
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