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I guai degli americani
Nonostante l’ economia americana si presenti forte, sicuramente molto più vitale e dinamica di quella stagnante europea, i cittadini statunitensi della ex classe media hanno di gran lunga peggiorato il loro benessere socioeconomico. Non solo quello, per la verità: sebbene la percezione di due guerre tra Europa e Medio Oriente non sia necessariamente quella di noi europei, il peso psicologico di un’ instabilità persistente disturba il contribuente americano che si vede sottrarre ingenti risorse che vengono destinate a contesti di cui non comprende l’ importanza strategica per il suo Paese( Mappa 1).
Una fabbrica dismessa della Rust Belt
Mappa 1
La sensazione che il Vecchio Continente che geograficamente è il più diretto interessato alle vicende ucraine e israeliane non abbia le capacità di risolversele da solo, crea negli americani una frustrazione e un senso di rabbia a noi difficili da comprendere. I prezzi dei beni negli Stati Uniti, spinti da un’ inflazione generata anche dalle imprudenti politiche espansive delle precedenti amministrazioni, hanno inoltre raggiunto livelli difficilmente sopportabili e sebbene gli stipendi abbiano avuto forti incrementi nell’ ultimo quinquennio non riescono a compensare l’ aumento dei costi, generando quindi una percezione di impoverimento in un Paese dove sanità e trattamenti pensionistici non sono sussidiati dello Stato. L’ occupazione è certamente ai massimi livelli statistici, ma come avviene anche in Europa si tratta di un’ occupazione povera prevalentemente fatta di immigrati con redditi al limite della sussistenza. Tutta la fascia del Midwest, la cosiddetta Rust Belt fatta di fabbriche piene di operai, è scomparsa gettando nella povertà milioni di individui. Il debito dello Stato, che ha raggiunto
nel frattempo livelli stratosferici, fa fatica a essere onorato, ma soprattutto è in grande parte nelle mani della Cina che invece in questi anni ha aumentato il proprio credito commerciale nei confronti degli Stati Uniti arricchendo smisuratamente quei pochi che hanno commerciato con il Paese asiatico( soprattutto multinazionali) a danno dei tanti che nelle fabbriche americane producevano quegli stessi prodotti che ora sono riversati sul mercato a prezzi di dumping. Non c’ è quindi da sorprendersi se la distribuzione della ricchezza americana( ma anche europea) ha assunto sempre più i connotati di una forte concentrazione verso l’ alto della scala sociale, creando un diffuso malcontento tra i cittadini. La macchina socioeconomica americana, sempre considerata produttrice di mobilità sociale, sembra si sia quindi inceppata e non sorprende che la svolta elettorale sia avvenuta in maniera così decisa.
Il problema cinese
La Cina sta diventando il più grande problema dell’ Occidente. Un miliardo e mezzo di persone inquadrate in un regime politico autoritario produce un’ enorme quantità di beni che non riesce a consumare e che quindi destina all’ esportazione, costi quel che costi. I regimi autocratici, in special modo se si definiscono comunisti, hanno la necessità di dare occupazione anche se mal retribuita ad ognuno dei propri cittadini perché è la migliore garanzia se non l’ unica di riuscire a procrastinare il proprio potere. Se l’ Unione Sovietica per gli USA era solo una minaccia militare perché il suo peso specifico commerciale era irrilevante, quello della Cina è un tema che tocca più interessi: da quello geopolitico a quello economico a quello della sicurezza nazionale. Intere filiere produttive anche strategiche sono state delocalizzate nel Paese asiatico creando non solo un enorme deficit commerciale, ma soprattutto generando una dipendenza industriale esterna allarmante.
Gli obiettivi imprescindibili di Washington
Tutto quanto descritto pone quindi a qualsiasi amministrazione americana avesse vinto le elezioni tre temi fondamentali:
• tema geopolitico: come contenere la Cina sia politicamente che economicamente;
• tema economico: come ridurre l’ enorme deficit commerciale con l’ estero e quello dello Stato federale;
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