My first Magazine Animazione Sociale | Page 19

Oggi le parole hanno spesso questa caratteristica: è come se fossero scivolate da se stesse, si fossero trasformate, si fossero performate, fossero andate a significare un’ altra cosa, tant’ è che in certi linguaggi estremamente saturi è come se le parole si fossero saturate al punto tale da non significare più nulla o non più la stessa cosa: da significare altro.
Ad aiutarci a mettere a fuoco la questione è, come sempre, la poesia. Anna Achmatova, sul limite fatale di ogni relazione, limite che è la condizione della possibilità di quella relazione, scrive:
C’ è nel contatto umano un limite fatale, non lo varca né amore né passione, pur se in muto spavento si fondono le labbra e il cuore si dilacera d’ amore.
Perfino l’ amicizia vi è impotente, e anni d’ alta, fiammeggiante gioia, quando libera è l’ anima ed estranea allo struggersi lento del piacere.
Chi cerca di raggiungerlo è folle, se lo tocca soffre una sorda pena … ora hai compreso perché il mio cuore non batte sotto la tua mano.
Viviamo un tempo difficile da definire, soprattutto perché da un lato non abbiamo le parole per dirlo questo nostro tempo, dall’ altro si tratta di un tempo in cui le parole che abbiamo si modificano mentre le usiamo, rendendo impegnativa ogni condivisione possibile, inducendo un costante impegno di approssimazione che rimane comunque incerta. Si conferma rilevante lo spazio dell’ interrogazione e questo è quel che si può cercare di fare mettendosi di fronte alla parola « condivisione »: cercare di interrogarla, cercare di sollecitare la parola.
Se è difficile che il cuore di uno batta agevolmente sotto la mano di un altro, quando diciamo condivisione il primo problema che dobbiamo affrontare è cercare di liberarci dalla patina moralistica con cui questa parola si utilizza, perché è carica di « anime belle », buonismo, buona volontà, posizioni − come si dice − « giuste » e che si presumono tali, invocazioni a comportamenti appropriati.
La favola dei porcospini
Se andassimo in giro per la città con una domanda: « Tu vuoi la guerra o la pace?», perderemmo tempo, perché torneremmo con la quasi totalità delle risposte che scelgono la pace. Si produce però immediatamente uno scarto nell’ esperienza, tra quelle risposte e i comportamenti quotidiani, perché basta una piccola cosa − un contrasto condominiale, uno che ha parcheggiato al nostro posto − per generare rischi di antagonismo.
La parola condivisione pare richiamare un atteggiamento pregiudizialmente buonista − condividere sofferenza, problemi, idee −, ma approfondendo un po’ ci pone immediatamente l’ immagine di Schopenhauer quando narra l’ aneddoto dei porcospini. Schopenhauer, come è noto, dice che quando viene l’ inverno i porcospini hanno bisogno di andare in letargo, ma non possono farlo da soli; ogni porcospino da solo
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