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14 Teatro e cura
« merda, merda, merda ». È un modo di dire che nasce nel ʼ700 quando il pubblico andava a teatro a cavallo. Se davanti al teatro c’ era tanta merda, voleva dire che c’ era tanto pubblico.
I dervisci tourneur, invece di dirsi merda, si dicono « sii presente a te stesso ». E scusa, io sto con i dervisci, non ho un attimo di dubbio! Ma quello che mi preoccupa è che tutta la cultura... è una cultura di merda! Nel senso che bada all’ incasso. Che va bene, ci mancherebbe. Però i dervisci si dicono « sii presente a te stesso ». Allora perlomeno trovare un equilibrio non sarebbe male. E invece questo equilibrio non c’ è.
Pensando agli operatori sociali, oggi si trovano a lavorare in spazi organizzativi di grande alienazione. Dove non solo si fa fatica a essere presenti a se stessi, ma dove sembra che meno si è presenti meglio si riesca a reggere. Allora la proposta che fate è forte. Chiedersi « che cosa ci facciamo qui al Serd? Cosa faccio io coi miei utenti?», sono domande in apparenza banali, in realtà dirompenti.
Dirompenti perché rompono routine, ma rigeneranti perché non è vero che estraniarsi sia la risposta all’ alienazione. Prova ne è il burn out. Meglio per un operatore sforzarsi di comprendere: comprendere cosa sta facendo lì, con quelle persone. Altrimenti viene meno la sua funzione di cura, di aiuto.
Quando facciamo il campus, quello che è interessante è che si crea un ambiente. Qualunque cosa stia accadendo in quel momento lì, accade in attenzione. È qualcosa in cui tutti sono presenti. E tutti quelli che entrano lì si guardano intorno e dicono « cosa succede?». E ci mettono un attimo a capire « ah, tutte le persone che sono qui sono qui ». E questa è la cosa interessante secondo me: creare un ambiente in cui tutte le persone che sono lì sono lì; e fanno quello che stanno facendo in quel momento lì. Sono consapevoli insomma di essere lì.
Questa è la awareness alla quale mirano le pratiche teatrali: un lavoro di consapevolezza di sé. Non per diventare altro da sé – noi non lavoriamo sugli aspetti mimetici del teatro, che pure sono sacrosanti; non lavoriamo cioè su quella parte del teatro che è interpretare un personaggio. Lavoriamo su quella parte del teatro che è la presenza, e che è preliminare all’ altra. Perché per stare in scena un attore deve anzitutto essere presente a se stesso. Poi potrà decidere di fare teatro mimetico, potrà decidere di fare teatro sociale nelle periferie urbane, potrà decidere di impiegare le tecniche del teatro per l’ integrazione delle persone disabili. Ma prima deve avere questa consapevolezza di sé, che è alla base del teatro di ogni tempo.

Gabriele Vacis i) è regista teatrale, da sempre sperimentatore di linguaggi, Oggi dirige l’ Istituto di pratiche teatrali per la cura della persona, creato presso il Teatro Stabile di Torino per attori e operatori che agiscono in contesti differenti dal palcoscenico, come quello sociale e terapeutico: gabri. vacis @ gmail. com