LUCE estratti LUCE 326_Carminati_Cappella della Sindone | Page 5
Daniele
¶ PROGETTARE LA LUCE
di Stephanie Carminati
P
iccolo gioiello della Torino Sabauda
incastonato tra il Duomo e il Palazzo
Reale, la Cappella della Sindone riapre
le sue porte dopo i lunghi e complessi restauri
che hanno visto il coinvolgimento del Ministero
per i beni e le attività culturali, della
Compagnia di San Paolo, della Fondazione
Specchio dei Tempi - La Stampa e della
Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici
e Culturali di Torino. Due decenni di lavori
che hanno comportato accurati rilievi e studi
strutturali per ripristinare la solidità della
cappella, la cui staticità e integrità erano state
gravemente compromesse dallo shock termico
causato dalle fiamme e dall’acqua necessaria
a spegnerle, e la riapertura dell’antica cava
di Frabosa Soprana, in provincia di Cuneo, per
l’approvvigionamento del materiale necessario
alla sostituzione dei numerosi elementi
strutturali resisi inutilizzabili. Unico testimone
rimasto del tragico evento del 1997, l’altare
centrale progettato da Antonio Bertola per
accogliere e conservare la Sindone nella sua
urna centrale porta ancora i segni delle fiamme
che lo avvolsero. Il suo restauro, reso fino
a ora impossibile dalle impalcature necessarie
agli interventi di consolidamento della
cappella, è previsto per la primavera del 2019
e sarà finanziato dalla Fondazione Specchio
dei Tempi - La Stampa.
Completata nel 1694, la storia della Cappella
della Sindone prende avvio nel 1611, quando
Emanuele I di Savoia incarica Carlo di
Castellamonte di realizzare una struttura
che ospiti la reliquia della Sindone,
di proprietà dei Savoia fin dal 1453. Dopo
una prima interruzione sostanziale dei lavori,
il progetto è portato avanti da Amedeo
di Castellamonte (1655) e da Bernardino Quadri
(1657), che ne imposta l’impianto circolare
incastonato tra il palazzo ducale e l’abside del
Duomo di San Giovanni Battista, modificando
l’originale progetto e sopraelevandolo al livello
del piano nobile del palazzo. Nel 1668 i lavori
vengono affidati a Guarino Guarini, padre
teatino, architetto e matematico giunto
a Torino due anni prima. Sarà lui a introdurre
la sinuosità della linea curva nell’impianto
altrimenti ortogonale e razionale di Torino e a
portare a termine quella che è, a tutti gli
effetti, un simbolo del Rinascimento italiano.
Se parte del percorso iniziatico previsto dal
Guarini, che prevedeva l’ascesa dei fedeli dalla
penombra delle due rampe di scale rivestite in
marmo nero poste ai lati dell’abside del
Duomo, è venuto meno per questioni legate
alle normative – impossibilità, ad esempio, di
posizionare i necessari corrimano senza
intaccare la pregevole fattura della balaustra
marmorea, volutamente addossata alle pareti
proprio per aumentare la sensazione di
difficoltà nella salita –, l’intervento di
illuminazione della cupola pensato, realizzato
e sponsorizzato unitamente da Iren Energia e
Performance In Lighting ne preserva in pieno
l’anima. Nello scenario progettato dal milanese
GMS Studio Associato, infatti, l’architettura e la
luce tornano a essere i protagonisti assoluti di
un intervento che prevede che le 66 fonti di
luce artificiale rimangano completamente
nascoste alla vista del visitatore. Margherita
Suss sottolinea, infatti, come si sia cercato
di “determinare un’illuminazione che partisse
dalle tenebre e arrivasse alla luce, cercando
di interpretare quello era il concetto originario
di questo monumento, in cui tutto è illuminato
uniformemente con dei livelli di illuminamento
digradanti che consentono di percepire
le geometrie della cupola e di apprezzarne
la profondità. Una luce che svela, rispondendo
alle caratteristiche cromatiche dei materiali”.
Quella odierna è un’esperienza estetica ed
emozionale che parte dall’ingresso privilegiato
che un tempo era riservato ai soli Savoia, che
dall’ala del Palazzo Reale – ora Musei Reali
di Torino – accede direttamente all’aula
a pianta centrale, il cui funebre paramento
lapideo in marmo nero (sofferenze terrene)
porta il visitatore a cercare sollievo nella luce
che proviene dall’alto, dalla spettacolare
cupola guariniana, caratterizzata dall’uso di
un marmo sempre più chiaro (salvezza eterna).
Sul primo cornicione, coincidente con
la trabeazione che sormonta le colonne
e le lesene corinzie che scandiscono lo spazio
circolare in prossimità degli accessi e dei
gruppi scultorei, si imposta un bacino
troncoconico solcato da tre grandi archi che
si alternano ad altrettanti pennacchi concavi,
ognuno contenente una delle sei aperture
circolari. Dall’esterno di questi “occhi”,
sei proiettori Win+1 da 4000K con ottica
simmetrica a 74° forniscono l’illuminazione
diffusa necessaria alla messa in evidenza
dell’intradosso degli “occhi” stessi e del bacino
troncoconico.
Sul soprastante piano di calpestio del loggiato,
in corrispondenza dei sei finestroni ad arco
del tamburo, sono state installate due tipologie
differenti di apparecchi di illuminazione,
la cui luce si irradia sull’imbotte degli archi
del loggiato (6 proiettori lineari Strip Square
1284 con ottica ellittica 15X45°, 3000K) e sulle
superfici del tamburo (6 proiettori Focus+3
con ottica simmetrica a 55°, 4000K).
Al di sopra delle cornici alla base delle arcate
del loggiato sono stati inseriti gli apparecchi
lineari che hanno la specifica funzione
di illuminare a proiezione l’interno del
canestro rovesciato definito dal ingegnoso
sistema a 36 archi sfalsati che, grazie all’altezza
via via minore degli ordini degli archetti,
crea l’illusione ottica di una cupola che
si innalza sempre più verso il cielo. L’intento
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