¶ SPECIALE
Euroluce
2017
Per chi
desidera
la luna!
Testo e foto di / text and photos by Alberto Pasetti
D
all’ingresso della porta Ovest della Fiera
di Milano si penetra nel padiglione 15,
il primo tra quelli dedicati a Euroluce.
Il primo stand che appare è quello di Ingo
Maurer, posto in una posizione strategica
che non può essere evitato. Tra le sue novità
non passa inosservata la leggerissima e ironica
sospensione gonfiabile a forma di hot dog
allungato, Blow me up di Theo Möller, con
incorporata nel kit di vendita la pompetta
gonfiabile. Uno stand sempre molto
frequentato che conferma l’interesse per uno
spirito di ricerca e per una garbata forma
di trasgressione innovativa. In ogni caso
costituisce anche l’esordio alla visita, che
prosegue per ben quattro padiglioni e si snoda
tra punti di riferimento di altissima notorietà,
quelli in auge e quelli in fase di crescita
e sviluppo, oltre a un certo numero di nuove
realtà presentate per la prima volta.
Quest’edizione 2017 non presenta spinte
all’innovazione tout-cour, ma contiene alcune
conferme di percorsi tecnici e tendenze
virtuose, con maturandi approcci stilistici frutto
di percorsi intrapresi già da qualche anno.
Ovvero, viene confermata la tendenza che
accoglie una duplice valenza di ricerca: quella
formale, legata alla composizione tra specificità
materica e la sua declinazione innovativa,
e quella tecnologica, orientata alle crescenti
prestazioni della luce allo stato solido. Infatti,
a fronte dell’essenzialità e del minimalismo
e della voluttà plastico-scultorea, si ritrovano
le espressioni di un mercato che cerca
il rinnovamento anche nel recupero degli
stereotipi conosciuti, quando, diversamente,
non si affida temerariamente alle soluzioni
inedite e pioneristiche fluide e astratte.
Nella fiera di quest’anno questa duplice
potenzialità si è percepita con una certa forza,
probabilmente perché il mercato oscilla nel
tentativo di trovare nuove strade e, allo stesso
tempo, riscopre la via del richiamo al passato,
forse più rassicurante, con una punta di
nostalgia dedicata a forme e stili dell’abitare
domestico che ancora piacciono. Si potrebbe,
ad esempio, rievocare Louis Poulsen come
richiamo simbolico di una tradizione, classica
ed equilibrata, dell’immaginario rivolto all’idea
di lampadario domestico. Non casualmente
la presentazione della sospensione PH5-50
vuole chiaramente ribadire come il restyling
di un oggetto storico del marchio possa
costituire un forte appeal ancora oggi.
In fondo, l’essenza di questo tipo di scelte passa
attraverso la sensibilità e la consapevolezza
che il gioco morbido e rassicurante della luce
si palesa attraverso un delicato compromesso
tra innovazione tecnologica e il senso della
materia, della finitura e del colore. Questa
è una via di ricerca che può generare idee
e concetti del tutto nuovi nella seconda
dimensione che traspare in Euroluce. Ovvero,
tra la spinta verso il passato e quella orientata
a un presunto futuro, gli ingredienti della forza
comunicativa e la stessa capacità seduttiva
si assomigliano molto, se non fosse che per
necessità di mercato la spinta all’innovazione
deve generare una plus valenza ulteriore:
una dimensione, appunto, di stacco netto
dagli stereotipi convenzionali. Questo trapasso
avviene in due modi distinti, utilizzando
l’ironia da una parte e l’astrazione formale
dall’altra. Al primo gruppo appartiene Filo
di Andrea Anastasio per Foscarini, che,
pur ostentando l’uso innovativo di materiali
ceramici e vetrosi, attraverso articolazioni
cromatiche variegate, si focalizza quasi
teatralmente sulla rievocazione di un gioco di
memoria, una visione di frammenti del passato
che, nella loro composizione, sembrano
strizzarci l’occhio in maniera freudiana e dirci
“prova a indovinare chi sono?”. Un po’ meno
ironica ma sicuramente appariscente risulta
Medusa di Ross Lovegrove, per LG lighting,
che fluttua nello spazio seguendo un’onda
immaginaria di luce. Al secondo gruppo
potrebbe appartenere l’installazione del
progetto 87 di Fahim Kassam, nello spazio
Bocci. Infatti, forma e soluzione tecnologica
di luce si fondono letteralmente per raffigurare
una scena da film Avatar, una condizione
di smaterializzazione del concetto della
lampada per raggiungere una dimensione
morbida e sinuosa senza un carattere
prevalente. In realtà, in questo caso, dietro
l’immagine di un prodotto-installazione
si cela un processo singolare, un principio
di trasformazione della materia plastica
che permette di ottenere effetti luminosi
singolari, ricordando la nobile origine
delle lavorazioni del vetro nelle fornaci.
Più essenziali e minimalisti risultano i progetti
Wirering e Blush lamp di Formafantasma
per Flos, dove il concetto compositivo sposa
pienamente l’interpretazione della tecnologia
allo stato solido della luce tradotta in linee
e circonferenze. Blush, per l’appunto, si presta
bene agli effetti giocosi di una regia
programmata che, nell’essenzialità delle linee
verticali, permette di apprezzare variazioni
di intensità e variazioni cromatiche.
Diversamente, nel progetto Kepler di Arihiro
Miyake per Nemo la flessuosità diventa
il leitmotiv di composizioni che irrompono
nello spazio, facendo sembrare quasi
inopportune le pareti ortogonali che si
stagliano nello sfondo. Infatti, la compiutezza
del prodotto vede un’integrazione ben risolta
tra forma e tecnologia, al punto che si possa
SPECIAL REPORT / LUCE 320
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