Libretto venezia PRP Venezia 2a edizione | Page 47
del vino sia per il consumo come uva da tavola durante l’in-
verno.
Nel volume IV del Bollettino Ampelografico 1884-87,
alle pagine 26 e 27 si dice, ad esempio, che in provincia di
Padova si preferivano per il consumo le uve di «Lugiadega,
D’oro, Garganega, Moscata e Marzemina» le quali, ad esclu-
sione della Lugiadega, erano coltivate anche per la vinifica-
zione.
Ma già nella prima metà dello stesso secolo, il letterato e
ampelografo mantovano Giuseppe Acerbi (1773-1846) aveva
descritto in questo modo l’uva D’oro veronese: «Sermenti
grossi, lunghi, ad occhi distanti; foglie intagliate al quarto, coi
lobi acuti profondamente dentati, per di sotto un po’ tomen-
tose: grappoli mediocri, di figura irregolare, acini tondi, nè
grossi nè piccoli, piuttosto rari, di color aureo, a buccia dura.
Coltivasi nella valle Pulicella; è feconda ogni anno, buona a
far vino e da conservar nel verno».
Dalla descrizione dei grappoli spargoli e degli acini con
buccia dura che la rende adatta alla conservazione, si può
giustamente intuire che si tratti del vitigno chiamato, al gior-
no d’oggi, Dorona.
Agli inizi del XX secolo, sempre a riguardo della Dorona
veneziana, il professore vicentino Gerolamo Molon (1860-
1973) scrive: «Non si ha notizia di questo vitigno, altro che
in qualche catalogo; è certo però che trattasi di un’uva diffu-
sa nell’Estuario Veneto, e della quale si fa commercio, come
uva da tavola». E più oltre aggiunge che è una «pianta robu-
sta e ben produttiva con tralci di media grossezza a internodi
mento di alcune piantine, si poté iniziare il lavoro di ricerca per reim-
piantare, col sistema Guyot e in gran parte con esemplari non innesta-
ti, il primo vigneto Dorona sopra un terreno ricco di sabbia, argilla, limo
e microrganismi.
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