La Proprietà Edilizia - Febbraio 2020 ARPE2 | Page 51
MOSTRE
Raffaello
alle Scuderie
del Quirinale
Luigi Tallarico *
N
ella ricorrenza dei cinquecento anni dalla
morte di Raffaello Sanzio, le Scuderie del
Quirinale a Roma, presentano, da marzo a
giugno un’articolata rassegna di circa 200
capolavori, tra cui disegni e opere di confronto, pro-
venienti dagli Uffizi e dai più importanti musei, se-
gnando il rapporto ideale tra Roma e Firenze. Sarà
così possibile ammirare i “Ritratti
di Agnolo e Maddalena Doni” e altre
importanti tele di stanza agli Uffizi,
nonché la “Madonna del granduca”,
la “Velata” e la “Santa Cecilia” della
Pinacoteca di Bologna, la “Madon-
na Alba” della National Gallery di
Washington, il “Ritratto di Baldas-
sarre Castiglione” e la “Madonna
della Rosa” del Prado. Il Louvre sarà
presente con “L’autoritratto con
amico”.
E anche se l’«Eccellentissimo
pittore» (Vasari) e «Prediletto del-
le grazie» (Briganti), era legato alle
opere che si richiamavano a un di-
verso linguaggio formale, raggiun-
gerà il momento più alto della sua
sintesi espressiva già prima di stabilirsi da Firenze a
Roma. Infatti, nella Città dei Papi, Raffaello supererà
la visione problematica che l’aveva tenuto in bilico tra
l’imitazione e l’invenzione, perseguendo la visione ri-
nascimentale e subendo l’”accusa” di aver “dimenti-
cato” l”odiosa maniera” che covava, secondo il Vasari,
«sotto le cose vecchie di Masaccio». Ma già prima di
Roma si avvantaggerà di quelle nuove “cose” che ave-
va visto nei lavori di Leonardo e di Michelangelo.
Ed è per questo che il Vasari riteneva che Raffaello,
arrivato a Roma, avrebbe dimenticato l’odiosa manie-
ra toscana, alle prese con la visione romana, rappre-
sentata dalle rovine antiche, passando dal cavalletto
alle opere pubbliche, onde «trovare – scriverà al Casti-
glione – la bella forma degli edifici antichi». A Roma si
rivolgeva, infatti, a Leone X, mettendosi a disposizione
del pontificato e dichiarandosi entusiasta del «tempo
degli imperatori», cioè degli edifici dell’«antiqua archi-
tettura [che] son li eccellenti, fatti con la più bella ma-
niera e ragion spesa et arte di tutti gli altri».
La mostra delle Scuderie del Quirinale ripropone
il passaggio tra classicità e manierismo, tra le opere
pubbliche e l’arte da cavalletto, collegando la visione
formale di Firenze (1504-1508) con la sintesi di Roma
(1508-1520); la moderna storiografia tende a identi-
ficare nelle due categorie il tempo storico. Infatti, la
rassegna sarà collegata alle opere che si richiamano
al periodo di frequentazione di Raffaello della città di
Firenze, se si osserva che le sue esperienze sono state
sviluppate anche in Urbino e a Perugia, ove operavano
alla Corte di Montefeltro Leon Battista Alberti, Piero
della Francesca e Luciano Laurana; a Perugia l’Urbina-
te è entrato a bottega dal Perugino e ha i primi con-
tatti col Pinturicchio e con il Signorelli, assorbendo gli
ideali fiabeschi dell’arte umbra, soprattutto la visione
maestosa dell’architettura dipinta di Palazzo Ducale di
Urbino.
Al tempo della mostra tenuta a Firenze, in occa-
sione del V centenario della sua nascita (Urbino, 6
aprile 1483), l’aporema fu ina-
spettatamente sollevata da Giulio
Carlo Argan, il quale nello stesso
giorno dell’inaugurazione e alla
presenza del Presidente della Re-
pubblica, affrontava la problema-
ticità dell’Urbinate, presentata
come paradigmatica, nonostante
la convinzione che «quasi incarnas-
se l’universalità stessa dell’arte e i
fondamentali concetti di classicità,
di bello, di mimesi, di proporziona-
lità, di naturalezza». Argan invece,
in contrasto con Mina Gregori, au-
trice del catalogo, confermava che
«il verbo raffaellesco […] fu netta-
mente manieristico, non classico».
Eppure Mina Gregori, al fine di con-
fezionare “un’immagine più facilmente accettabile”,
cercò di sviare la polemica, ricordando che «un uomo
del Cinquecento deve essere comprensibile non in rap-
porto a noi, ma in rapporto ai suoi contemporanei. Non
è a noi e alle nostre idee, ma a loro che occorre riferirsi».
Sennonché i contestatori del “mito classico” di
Raffaello, ieri come oggi, si domandano se sia auten-
tica l’immagine che ci è stata tramandata, non solo da
Raffaello, ma anche e soprattutto dal suo tempo. E se
l’immagine, arrivata fino a noi, non è autentica, ci si
domanda quando e come, sia nata la mistificazione.
È sempre Argan a ricordare, in quell’occasione, che «il
classicismo di Raffaello, la sua aulica romanità, la tas-
sativa normatività della lezione, sono affermazioni”op-
portunistiche” della critica, e per quanto riguarda l’i-
naffidabile trascendenza di Michelangelo, vagamente
sospetta d’eterodossia, parve decisamente preferibile
il discorso chiaro, dimostrativo, nobilmente retorico di
e su Raffaello».
* Critico d’arte
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