La Proprietà Edilizia - dicembre/gennaio 2020 ARPE12 | Page 46
IL MONDO CHE CAMBIA
La parte oscura
del web
Sebastiano Fusco
«
Fino alla quarta generazione!» tuonava la con-
danna biblica sui rèprobi incorsi nell’ira divina.
Non era un capriccio di Dio. Nelle società an-
tiche, quando leggere e scrivere era privilegio di
pochissimi, l’onta sul colpevole poteva durare sola-
mente quanto resiste la diretta memoria. La ricorda-
vano i suoi conoscenti e i suoi figli, i figli dei figli, forse
i figli dei nipoti: ma più in là era impossibile andare,
sempre che oggetto della maledizione non fosse un
sovrano o un intero popolo, di cui si registravano le
cronache. Il termine “generazione” limita la diffusione
dell’onta non soltanto dal punto di vista temporale,
ma anche da quello spaziale. A conoscere la tua colpa,
in mancanza di mezzi di comunicazione più efficaci
della voce umana, erano i tuoi figli e i tuoi amici, e le
persone da loro conosciute. Si rimaneva nell’ambito
di una comunità, di un villaggio, e raramente si andava
oltre, in un’epoca in cui le notizie viaggiavano a piedi
o a dorso d’asino (in groppa a un’asina entrò Gesù a
Gerusalemme per portarvi la “buona novella”).
Oggi, ovviamente, è tutto cambiato. Le notizie
hanno diffusione fulminea, e la loro memoria persiste
oltre le generazioni. Di conseguenza, persiste anche
l’onta. Il problema del “diritto all’oblio”, ovvero di tor-
nare ad avere una reputazione non macchiata dopo
aver scontato la pena per una tua colpa o, ancor più,
dopo essere stato riconosciuto innocente da un tribu-
nale, è particolarmente sensibile in una società in cui
basta un nulla per insorgere all’onore delle cronache,
anche casualmente e del tutto incolpevoli.
È un problema, ovviamente, che è sempre esisti-
to. Gli articoli di giornale pubblicati all’epoca del fatto
restano conservati nelle emeroteche, i libri scritti ri-
mangono nelle case o nelle biblioteche, anche dopo
l’uscita del fatto dalle cronache. Ma una volta la me-
moria rimaneva lì, chiusa e accessibile solo con tempo
e fatica, e andando a cercarla deliberatamente. Dalla
diffusione di Internet (piuttosto recente in termini di
storia: meno di un paio di generazioni) le cose vanno
in maniera diversa. Le vicende che ti riguardano sono
registrate nel World Wide Web, la rete informatica
mondiale, e la loro cancellazione è praticamente im-
possibile. Gli articoli di giornale riemergono dal pas-
sato, le foto compromettenti ricompaiono, i giudizi
impietosi tornano a risuonare. E per rievocarli non oc-
corrono faticose ricerche d’archivio: basta digitare un
nome su Google, e chiunque può sbatterti in faccia la
tua onta, facendotela pagare anche quando l’hai già
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pagata. O peggio, rinfacciandoti il tuo coinvolgimento
in un caso dal quale sei uscito innocente.
Certo, esistono le leggi a tutela della privacy e
dell’onorabilità. Diffondere informazioni relative a
condanne ricevute o coinvolgimenti in vicende giudi-
ziarie non è legittimo, salvo in casi particolari. La Cas-
sazione ha reiterato il «giusto interesse di ogni perso-
na a non restare indeterminatamente esposta ai danni
ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione
la reiterata pubblicazione di una notizia in passato le-
gittimamente divulgata». Non si può dire che, anche
in sede internazionale, il problema della divulgazione
dei dati sensibili e lesivi dell’onorabilità non sia stato
affrontato e oggetto di disposizioni specifiche. Il fatto
è che la buona volontà dei legislatori e delle istituzioni
(supposto che ci sia), si scontra contro l’impossibilità
pratica di fermare la diffusione di una notizia, giusta o
sbagliata che sia, sulla rete internet e soprattutto sui
cosiddetti social network.
Esistono aziende specializzate nel “ripulire” (dietro
pagamento) il Web da notizie sgradite. Ma non sono
in grado di bloccare la memoria. È sufficiente che un
dossier riguardante una vicenda specifica venga ripro-
posto in rete da qualcuno che lo aveva memorizzato
nel suo computer perché torni a diffondersi, moltipli-
candosi ogni volta che qualcun altro lo riprende e pro-
pone a sua volta.
Dobbiamo rassegnarci al fatto che Internet sta
cambiando la nostra società molto più rapidamente e
più a fondo di quanto l’invenzione della stampa a ca-
ratteri mobili l’abbia fatto a metà del Quattrocento. È
da allora che si cerca di limitare la stampa perché non
pubblichi cose sgradite al potere. Una cosa del genere
è stata ed è possibile soltanto nelle dittature più rigide
e capillari.
Ma questo è soltanto un aspetto del problema.
Quello di cui si parla è il Web “palese”, ma esistono
anche , ovvero la parte “profonda” e quella “oscura”
della Rete. Il Web che pratichiamo ogni giorno è sol-
tanto la punta emergente di un iceberg di dati la cui
quasi totalità è sommersa e accessibile soltanto con
procedure particolari. Il Web “profondo” contiene tut-
ti i dati che non sono indicizzati nei motori di ricerca:
e sono una quantità enorme, più del 99 per cento del
totale. In questa massa, si ritaglia la porzione del Web
“oscuro”, accessibile soltanto tramite software che ga-
rantiscono l’anonimato tanto in ingresso che in uscita.
Ospita, fra l’altro, le attività illegali come la pedofilia, il
riciclaggio, la ricettazione e così via. Questa parte del
web è in pratica del tutto fuori controllo, e comincia a
profilarsi, per la società informatica, come quella che
Carl Gustav Jung chiama, per l’inconscio collettivo,
l’Ombra. Ovvero la porzione della nostra psiche pro-
fonda in cui si agitano le istintualità represse, i desi-
deri inconfessabili, le pulsioni a stento controllate che
ribollono nel fundo obscuro della nostra personalità.
Inutile illudersi: prima o poi, bisognerà farci i conti.