La Proprietà Edilizia - dicembre/gennaio 2020 ARPE12 | Page 42

Anche coloro, che avevano perso la speranza, dopo tante sofferenze, privazioni, lutti e persecuzioni, vide- ro avverarsi un sogno coltivato dal 13 agosto 1961, quando il Muro fu eretto a separare il settore sovietico da quelli occidentali dell’antica capitale. «Di tutta la sua vita, la sua morte fu la sua opera più bella», ha scritto lo storico britannico Timothy Garton Ash riferendosi al Muro, ma soprattutto alla caduta dell’Impero Sovietico. La sua fine fu lenta, progressi- va, inesorabile. Nessuno può dire con certezza, ancora oggi, quan- do l’erosione ebbe inizio. Non ci fu un evento che ne segnò la fine, ma furono molti i fatti, minori e di gran- de importanza storica e politica, che prepararono il rivolgimento. Tutti, comunque, persino coloro che si erano assuefatti a quel mostruoso ordine, scorsero i segni dello sgretolamento dell’Urss, nella fine della guerra in Afghanistan che i sovietici abbandonarono con la coda tra le gambe, nel messaggio di libertà e di speranza che lanciò ai popoli oppressi dell’Est il Pon- tefice Giovanni Paolo II, nel dissenso disperato fino alla follia in alcuni casi di Solidarnosc. Ma soprattutto nella dichiarazione di Mikhail Gorbaciov, uomo forte del regime, potente segretario generale del Partito co- munista dell’Unione sovietica, conscio dei suoi limiti e della finitezza del regime che gli era stato affidato, succeduto alle mummie post-brezneviane, che suo- nò quasi come un segnale di resa, poco prima dello straordinario evento: «Noi non ci opporremo a quan- to accadrà», disse, riferendosi all’implosione che dal Cremlino, nonostante la cecità della vecchia guardia ancora impregnata di stalinismo, era evidente ai più avvertiti, a chi aveva la percezione del fallimento cata- strofico del comunismo. Quando, la mattina dell’11 novembre, alcuni berli- nesi, ancora euforici per gli avvenimenti che soltanto due giorni prima li avevano proiettati in un’altra di- mensione, videro approssimarsi al Muro, un signore attempato, munito di un violoncello, non credettero ai loro occhi. Sedutosi davanti alle macerie di quella co- struzione ormai cadente, scavata, sventrata in alcuni punti, su una sedia malferma avuta da un abitante del quartiere, l’uomo, intorno al quale nel frattempo si era radunata una piccola folla silenziosa, prese a suona- re una suite di Bach, di carattere gioioso; poi un’altra più solenne, «in memoria di coloro che hanno lasciato qui le loro vite», disse con voce flebile ma ferma. Così Mstislav Rostropovitch, uno dei più grandi musicisti del Novecento, sotto lo sbrecciato Muro, celebrò la sua personale liberazione e quella del suo mondo pri- gioniero per lunghi anni in attuazione di una vendetta pianificata e consumata dai sovietici contro l’Europa, con la complicità vile di governi europei ossequiosi di quel malsano “ordine” che veniva dal Cremlino. Un mese dopo, Vaclav Havel, l’eroe della primavera di Praga, pronunciò davanti al Parlamento di Varsavia 42 | la PROPRIETÀ edilizia • Dicembre 2019/Gennaio 2020 un discorso tra i più vibranti della storia della libertà riconquistata, dicendo: «Al momento l’Europa è divisa. Ed è divisa anche la Germania. Sono due facce della stessa medaglia: è difficile immaginare un’Europa che non sia divisa in una Germania separata, ma è anche difficile immaginare la Germania riunificata in un’Eu- ropa divisa. I due processi di unificazione dovranno svilupparsi parallelamente, e anche subito se possibile ... I tedeschi hanno fatto molto per noi tutti: essi hanno cominciato da soli a demolire il muro che ci separa dal nostro ideale, un’Europa senza muri, senza sbarre di ferro, senza filo spinato». Andare oltre il comunismo non è stato facile, co- struire in un sistema di libertà una patria comune è certamente ancora più difficile. Perché i postumi di quelle ferite sanguinanti dalla fine della Seconda Guerra mondiale agli inizi degli anni Novanta dello scorso secolo, si avvertivano ancora. E i loro effetti si fanno sentire, al punto che l’Europa lungi dall’essere unita, risente di antiche divisioni con le quali l’eredità geopolitica della stagione comunista si propone alla nostra attenzione poiché non tutto è andato come Helmut Kohl, Margaret Thatcher, Ronald Reagan im- maginavano. L’Unione europea, per quanto possa sembrare paradossale, ha introiettato antiche incom- prensioni e nel suo interno, gruppi di nazioni guar- dano a soluzioni diverse per rinnovare la struttura politica continentale. E di quella tragedia, la schiavitù di buona parte dell’Europa sembra che nessuno vo- glia più sentir parlare, neanche della liberazione del 1989. Lo studioso francese Stéphane Courtois, idea- tore e curatore del Libro nero del comunismo, così ha sintetizzato gli effetti della caduta del Muro: «Rimane un’immensa tragedia che continua a pesare sulla vita di centinaia di milioni di uomini e che caratterizza l’en- trata nel terzo Millennio». Ma essa sembra essere stata rimossa piuttosto che fornire gli stimoli per una nuova primavera europea. L’“immensa tragedia” è ancora viva, per quanti sforzi si facciano per dimenticarla. Da qualche decen- nio, non appena gli assestamenti, soprattutto in Ger- mania, hanno avuto fine, sembra di assistere a una soffice minimizzazione di quegli eventi che trent’anni fa sconvolsero la geografia politica mondiale, mentre si ha l’impressione che si tenda a ricordare soltanto la liberazione di popolazioni che per decenni (oltre settant’anni quella russa) hanno subito il giogo sovie- tico con l’acquiescenza di buona parte del mondo, a cominciare da quei “buoni europei” che tanto a lungo hanno tollerato gli assassinii, le deportazioni, le care- stie programmate, la miseria, l’intolleranza leninista, i gulag staliniani e post-staliniani. Tra i “buoni europei”, naturalmente, non bisogna dimenticare scrittori ce- lebri, gente dello spettacolo, intellettuali che a vario titolo hanno edificato i loro monumenti sull’apologia del terrore. Nessuno di coloro che si compiacevano