La Proprietà Edilizia - Aprile/Maggio 2020 ARPE4-5 | Page 49

INTERROGATIVI CONTROCORRENTE A che serve il passato? Gianfranco de Turris H istoria magistra vitae? Lo diceva Cicerone nel suo De Oratore definendola non solo «ma- estra della vita» ma anche «testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, messaggera dell’antichità». Allora, perché oggi non più. Nel I secolo a.C., non nel XXI secolo d.C. Duemila anni e più dopo le cose sono cambiate, anzi ribaltate, e il passato è quasi solo da condannare, da prenderne le distanze, da criticarlo. Il passato, la Storia, non ci in- segnano più nulla, infatti, non è maestra ma neppure – figuriamoci – “testimone dei tempi”, “luce della veri- tà”, “vita della memoria”, “messaggera dell’antichità”. I moderni non la pensano più così. Per quale motivo? Ma perché la mentalità moder- na è improntata del concetto che i valori odierni, nati in sostanza con la Rivoluzione francese del 1789, sia- no quelli in base ai quali si debba giudicare il passa- to, tutto il passato, da servire come veri e propri pa- rametri valoriali, e quindi di solito condannarlo. Non soltanto in Italia, ma anche all’estero, specie nei Paesi di lingua inglese, in pratica non si riesce più a “stori- cizzare” il passato, collocarlo nel suo tempo storico e consideralo alla luce della società, della cultura, della filosofia, della “visione del mondo” di quello specifico momento, per capirlo, non certo per accettarlo a ogni costo, e così giudicarlo in base ai suoi stessi principi. È invece la “visione del mondo” contemporanea la misura di tutte le cose, essendo considerati i suoi valori “assoluti” e come tali non solo per oggi ma an- che per ieri. E ciò vale sia a livello basso sia alto, sia per le masse sia per gli eruditi. Non presso di tutti, ovviamente, ma presso moltissimi, in genere quelli che riescono a far sentire la propria voce sui mezzi di comunicazione di massa, dai giornali, ai libri alla tele- visione, al cinema e soprattutto nella Rete. E ciò porta anche a gesti estremi e incomprensibili alla luce della ragione, spesso attivati sulla spinta, come detto, della pressione mediatica. Improvvisamente, cose accettate per molto tem- po, anche oltre un secolo, sono considerate intollera- bili, offensive. Ad esempio, di punto in bianco Cristo- foro Colombo non è più un grande esploratore, lo sco- pritore del “Nuovo Mondo”, chi dimostrò che la Terra si può circumnavigare, ma un bieco colonialista e uno schiavista, accollandogli tutte le “colpe” dei coloniz- zatori dei secoli successivi. Le sue statue sono state abbattute o spostate in luoghi poco frequentati in vari paesi dell’America latina, mentre a Los Angeles è stata abolita la tradizionale parata del Columbus Day. Anche negli Stati del Sud, ex Confederati della Seces- sione, esistevano monumenti dedicati ai soldati e agli eroi di quegli eventi politico-militari, ma già le statue sono state abbattute o rimosse. A Oxford, il Senato accademico dell’Oriel College ha però respinto la richiesta, avanzata da un gruppo di studenti, di abbattere una statua di sir Cecil Rhodes (statista e imprenditore, esponente di spicco dell’im- perialismo britannico in Africa sudorientale nel Secolo XIX) che adorna la facciata di un edificio dell’Universi- tà. In precedenza, tuttavia, nello stesso luogo era sta- ta rimossa, una targa che commemorava il fondatore della Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Mentre l’Univer- sità di Yale in USA ha accettato di cassare dalle sue materie lo studio del Rinascimento italiano, giudicato sessista e maschilista! E per non essere da meno, la Cambridge University ha messo la sordina allo studio di classici come Omero e Virgilio perché “bianchi, ma- schili ed europei” per ingraziarsi gli studenti medio- rientali e asiatici… Un bel contributo al suicidio della cultura occidentale. Alcuni degli atteggiamenti descritti si possono ca- pire alla caduta di un regime, quando i suoi simboli sono abbattuti sull’onda del momento. Ma ciò non è comprensibile, secoli dopo col senno di poi, o molti decenni dopo, dopo come in varie occasioni è avve- nuto nel nostro Paese per quelle che sono definite “opere del Regime”. Ci si chiede perché di certe resi- piscenze, di come mai quel che non si distrusse prima si dovrebbe demolire decenni dopo, essendo rimasto sotto gli occhi di tutti per moltissimo tempo senza su- scitare alcuno scandalo o indignazione. Questi sono, si potrebbe dire ritorni di fiamma nati da contingenze politiche, da occasioni ideologiche. Ma quel che più colpisce è la mentalità vigente, vale a dire il giudicare il passato, anche remoto, con valo- ri attuali, come se fossero quelli migliori in assoluto, validi per sempre, immutabili nel tempo che verrà. Mentre così non è, anche perché non possiamo sape- re, quali essi saranno fra cinquanta o cento anni e più. Come possiamo essere sicuri che invece, al contrario, questi nostri “valori” non saranno considerati obsole- ti o superati da altri, che magari adesso nemmeno ci possiamo prefigurare? La loro assolutizzazione, este- sa alla storia conduce così a giudizi, la maggior parte di condanna, prima inimmaginabili, ad avere spesso uno strabismo storico. A che serve il passato? A nulla, a quanto pare, per- ché si basa sul concetto, nato con l’imporsi del cristia- nesimo, che la Storia sia come una freccia che va in senso rettilineo da un passato oscuro a un avvenire luminoso. Un concetto che non era della classicità né occidentale né tantomeno orientale, ma che pervade il modo di pensare moderno, e che certo non si può modificare, ma altrettanto di certo, convivendoci, può dare da pensare. la PROPRIETÀ edilizia • Aprile/Maggio 2020 | 49