LA LOTTA DI GIACOBBE la-lotta-di-giacobbe | Page 35

«Ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Ho scelto di utilizzare la versione latina perché una lingua morta, non più utilizzata per la comunicazione ordinaria, è più evocativa, appropriata per addentrarsi nel simbolico, nel mito, nel mistero, nell’inconscio collettivo. Ho inserito le iscrizioni in basso, come didascalie, in calce alla scena, per rimarcare il fatto che l’autore del testo racconta una storia a cui non è presente. La scrittura d’altra parte fissa la memoria di una circostanza e la lettura restituisce alla mente quel vissuto, ma le immagini rinnovano potentemente le emozioni fisiche della scena reale, a monte dei processi intellettivi. Il coinvolgimento dell’osservatore è più concreto che mentale. Il colore delle scritte è affine a quello del fondo per non prevalere sulla scena. Le iniziali sono più chiare e contrastate per rendere la scritta vibrante. Richiama in qualche modo l’uso antico, ricorrente tra gli amanuensi, di caratterizzare le iniziali miniandole rispetto alla scrittura in nero. Per firmare i miei quadri degli ultimi anni utilizzo una sorta di marchio rosso ispirato alla tradizione dei timbri cinesi o giapponesi, seppur del tutto occidentalizzato nella forma e nell’esecuzione. La posizione del sigillo in Oriente, benché segua regole precise, è sempre integrata alla composizione dell’opera. Così anche nel mio caso, in particolare nel trittico, la disposizione dei marchi accompagna le forme geometriche nel loro sviluppo ascendente. Sotto la sigla c’è un riquadro con la data e tre linee, due spezzate e una intera.