dall’associazione
da pensionati (22 punti percentuali in più
rispetto al 2006). E sono invecchiati anche
i caregiver impegnati nella loro assistenza:
hanno mediamente 59,2 anni (avevano
54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999).
Il caregiver dedica al malato di Alzheimer
mediamente 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza. Il 40%
dei caregiver, pur essendo in età lavorativa,
non lavora e rispetto a dieci anni fa tra loro
è triplicata la percentuale dei disoccupati
(il 10% nel 2015, il 3,2% nel 2006). Il 59,1%
dei caregiver occupati segnala invece cambiamenti nella vita lavorativa, soprattutto
le assenze ripetute (37,2%). Le donne occupate indicano più frequentemente di
aver richiesto il part-time (26,9%). L’impegno del caregiver determina conseguenze
anche sul suo stato di salute, in particolare
tra le donne: l’80,3% accusa stanchezza, il
63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si
ammala spesso.
Ad assistere i malati
sono soprattutto figli e badanti
Pur essendo sempre i figli dei malati a
prevalere tra i caregiver, in particolare per
le pazienti femmine (in questo caso i figli
sono il 64,2% dei caregiver), negli ultimi
anni nell’assistenza al malato sono aumentati i partner (sono passati dal 25,2%
del totale del 2006 al 37% del 2015), soprattutto se il malato è maschio. Questo
dato spiega anche l’aumento della quota
di malati che vivono in casa propria, in
particolare se soli con il coniuge (sono il
34,3% nel 2015, erano il 22,9% nel 2006) o
soli con la badante (aumentati dal 12,7%
al 17,7%). Nell’attività di cura del malato,
i caregiver possono contare meno di un
tempo sul supporto di altri familiari: nel
2015 vi fa affidamento il 48,6%, mentre
nel 2006 era il 53,4%. La badante rimane
una figura centrale dell’assistenza al malato di Alzheimer: ad essa fa ricorso complessivamente il 38% delle famiglie. La
presenza di una badante ha un impatto
significativo sulla disponibilità di tempo
libero del caregiver. Se complessivamente
il 47,8% dei caregiver segnala un aumento
del tempo libero legato alla disponibilità
di servizi e farmaci per l’Alzheimer, tra chi
può contare sul supporto di una badante la percentuale cresce di oltre 20 punti
percentuali (68,8%) e di circa 30 punti nel
caso in cui il malato usufruisca della badante e di uno o più servizi (77,1%).
Più consapevolezza
sulla malattia, ma tempi lunghi
per la diagnosi
Il 47,7% dei caregiver afferma di aver reagito subito alla comparsa dei primi sintomi
della malattia del proprio assistito, interpellando il medico di medicina generale
(47,2%), lo specialista pubblico (33,1%)
o lo specialista privato (13,6%). Solo il
6,1% si è rivolto immediatamente a una
Uva (Unità di valutazione Alzheimer).
Tuttavia, la gran parte degli intervistati
dichiara di aver ricevuto la diagnosi da
un professionista diverso da quello consultato per primo (63,1%). A formulare la
diagnosi di Alzheimer è principalmente lo
specialista pubblico (65,5%), in particolare un neurologo (nel 35,6% dei casi) o un
geriatra (29,9%), e solo per il 13,4% è stato
uno specialista privato. Nel tempo si è ridotta la percentuale di pazienti che hanno ricevuto la diagnosi da una Uva (dal
41,1% nel 2006 al 20,6% nel 2015), mentre è aumentata la quota di diagnosticati
dallo specialista pubblico (era il 37,9% nel
2006, è il 65,5% oggi). Il tempo medio per
arrivare a una diagnosi resta elevato, pur
essendo diminuito da 2,5 anni nel 1999 a
1,8 anni nel 2015.
Un’assistenza sempre
più informale e privata
Diminuisce di 10 punti percentuali rispetto al 2006 il numero dei pazienti seguiti da
una Uva o da un centro pubblico (56,6%).
Quando la patologia è più grave il dato è
ancora più basso (46%). Si abbassa leggermente anche la percentuale di pazienti che
accedono ai farmaci specifici per l’Alzheimer: dal 59,9% al 56,1%. Ed è diminuito il
ricorso a tutti i servizi per l’assistenza e la
cura dei malati di Alzheimer: centri diurni
(dal 24,9% al 12,5% dei malati), ricoveri in
ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali (dal 20,9% al 16,6%), assistenza
domiciliare integrata e socio-assistenziale
(dal 18,5% all’attuale 11,2%). Ampio è invece il ricorso all’assistenza informale privata: i malati che possono contare su una
badante sono il 38%. Alla badante si fa ricorso principalmente utilizzando il denaro
del malato (58,1%). Ma rispetto al passato
emerge il peso inferiore delle risorse del
malato (nel 2006 rappresentavano l’82,3%
delle risorse destinate alle badanti), che
appaiono bilanciate da un più ampio ricorso all’indennità di accompagnamento e al
denaro dei figli o del coniuge.
ANNO LXVII / n. 5 / maggio 2016 / L’ARTIGIANATO
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