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LA CASCINA CAMPAZZO

Conosciamoci meglio... il racconto delle signore Falappi e Quaroni della Cascina Campazzo.

"Mia mamma ha avuto 10 figli e mio padre era un vero agricoltore; in campagna lavoravano tutti i suoi figli in età da lavoro, però, non costringeva nessuno, anche se era abbastanza normale lavorare nell’azienda agricola.

La maggior parte del lavoro si concentrava in primavera e in estate, invece in inverno gli uomini facevano ben poco. Noi avevamo alcuni lavoranti annuali che o lavoravano in cascina oppure andavano a tagliare la legna. Infatti sui contratti dei dipendenti c’era scritto che ogni dipendente aveva diritto ad una certo numero di quintali di legna per scaldarsi.

Una volta non si lavavano le lenzuola tutte le settimane, ma si cambiavano e poi si mettevano da parte, noi poi avevamo otto o nove letti da rifare. Per lavare le lenzuola si usava la cenere. Si setacciava la cenere delle stufe e dei camini per togliere il carbone. Poi si prendeva un paiolo molto grande e si faceva bollire l’acqua con dentro la cenere. Intanto in un grande tino, , rivestito internamente con un lenzuolo vecchio, si mettevano le lenzuola tutte belle piegate e ben messe. Il vecchio lenzuolo si piegava e serviva per filtrare l’acqua con la cenere. Si lasciava il tutto a bagno per una notte. Il giorno dopo si tiravano fuori le lenzuola e si andava al fosso a sciacquarle. A volte le si lavava stando direttamente nell’acqua e poi si mettevano ad asciugare. Una volta asciutte non le stiravamo, ma le mettevamo via ben piegate.

Mio marito era appassionato di animali e si divertiva ad allevarli, per questo motivo piano piano l’attività si è ingrandita perchè abbiamo iniziato ad allevare galline, anatre selvatiche, anatre mute, tacchini e così via. Così la voce si è sparsa e hanno cominciato ad arrivare persone che compravano quello che si produceva, anche se noi non avevamo mai fatto pubblicità. E hanno cominciato ad arrivare anche le scuole, eravamo intorno agli anni ’80 e già allora non erano più tante le cascine che avevano ancora le mucche. I bambini restavano affascinati soprattutto dagli anatrini piccoli che sembrano proprio dei giocattoli. Da piccoli sono dei batuffoli e, ad esempio, quelli dell’anatra muta sono belli perchè sono tutti gialli col becco nero. Allora ogni tanto i bambini li prendevano e li nascondevano sotto la maglia per portarli a casa, ma le anatre selvatiche hanno delle unghie affilatissime e i piccoli si spaventavano e cominciavano a graffiare per scappare! Allora vedevi i bambini che cominciavano a cercare di togliersi di dosso l’anatrino perchè con le unghie faceva male.

Da noi non venivano solo le medie ma anche le scuole di via Dini; facevano lezione sotto il porticato dove si mettevano le balle di fieno e gli studenti ci si sedevano sopra, era interessante avere a che fare con questi ragazzi".

(Sig.ra Quaroni)