La fama è la sete di giovinezza
Presso gli antichi la fama e la
gloria sono temi centrali, strettamente correlati con il comportamento virtuoso che gli uomini assumono durante la loro
vita terrena. Lo stesso Seneca
sostenne che ''gloria umbra
virtutis est''. Nella civiltà italiana del Medioevo, il concetto di
fama assume le stesse caratteristiche della latinità: così è in
Dante che nell'Epistola a Cangrande - nella quale commenta i
primi dodici versi del Paradiso definisce la gloria «divinus radius», cioè "divino raggio". Dai
canti della Divina Commedia si
evince che la fama è per Dante
un valore positivo, tanto che la
sua mancanza può costituire o
addirittura essere un aggravante della pena infernale. Alcuni
''grandi dannati'', come Ciacco,
vogliono essere ricordati grazie
alla fama, in quanto solo il loro
ricordo fra gli uomini può costituire l’unica vita ancora possibile per queste anime eternamente morte. Non tutti vogliono
però ottenere questo ''ricordo
eterno'', come gli usurai che
non desiderano essere rimem-
brati per la bassezza dei loro
crimini, o dei traditori che augurano ai loro compagni di pena una fama nemica: e cioè l'essere ricordati in quanto assolutamente colpevoli.
Una vita attiva, onesta e piena
di azione procura agli uomini la
fama e può procurare anche il
Paradiso, sia pure in un basso
grado di beatitudine; agli spiriti
attivi per l'amore nei confronti
della fama è riservato tutto il
cielo di Mercurio, dov'è collocato Romeo di Villanova, ultimo
conte di Provenza, presentato
da Giustiniano nelle ultime terzine del VI canto del Paradiso.
Un'altra caratteristica generatrice di fama è la cortesia, riscontrata in uno dei protagonisti dell'VIII canto del Purgatorio, Currado Malaspina, il quale
viene esaltato da Dante per la
sua liberalità e prodezza.
Tuttavia la fama non è eterna;
può anche darsi che chi oggi è
sulla cresta dell'onda domani
non lo sarà più, come nel caso
di Cimabue, il quale credette di
essere superiore a ogni altro
nella pittura, ma quando Giotto
ottenne il primato la sua fama
venne oscurata (Purgatorio
XI, 94-96). Solo la completa
consapevolezza della mutabilità
della
gloria
e
l’accettazione di tale transitorietà stabilita da Dio assicura agli uomini la fama, così
come successe a Oderisi da
Gubbio (Purgatorio XI, 7989), il quale affermò la superiorità delle miniature di
Franco Bolognese, confessando che non sarebbe stato
disposto a riconoscere la superiorità di qualcun altro durante la sua vita terrena, data
la sua grande volontà di eccellere.
Tutti prima o poi sono costretti a
cedere la loro fama ai posteri. La
fama terrena è come il vento: prima
soffia da una parte poi dall'altra,
secondo i cambiamenti dei gusti e
della situazione politica e sociale.
Come disse Ugo Foscolo nell'opera
Le ultime lettere di Jacopo Ortis: «la
fama degli eroi spetta un quarto alla
loro audacia, due quarti alla sorte e
l'altro quarto ai loro delitti.»
Martina Scala
IV A Liceo Scientifico
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