Il Michelangelo n° 4 a.s. 2013/14 | Page 25

1914: dietro l' entusiasmo. 1914. Tutta l'Europa è scossa da un fremito. La grande guerra ha inizio. E, mentre le potenze si affannano le une contro le altre in opposti schieramenti, il popolo esulta. Francesi, Inglesi, Russi, Serbi e più tardi anche italiani, nazionalità diverse unite sotto la bandiera dell'entusiasmo: manifestazioni, parate, schiamazzi, giovani che agitano le braccia in moti di esultanza, bandiere svolazzanti. La guerra viene accolta con un sonoro assenso da tutta l'Europa, tuttavia, quest'entusiasmo non sarà destinato a durare. Ma come può un conflitto di dimensioni enormi avere il favore di mogli e di figli che vedranno partire mariti e padri per il fronte? Come può una guerra con le sue devastazioni essere accolta a braccia aperte da chi andrà a combatterla? Una delle ragioni per cui il popolo chiama a sé la guerra è senz'altro la fiducia nella forza della propria nazione, quel sentimento di patriottismo e di appartenenza, di orgoglio, che si era generato a partire dal positivismo e dalla rivoluzione industriale. L'uomo con la sua intelligenza era di nuovo al centro del mondo e le sue potenzialità erano infinite, la sua fiducia in se stesso così sterminata da sostituirsi a Dio. Feuerbach infatti parlerà di capovolgimento hegeliano di soggetto e oggetto, dove lo spirito deve ritornare ad essere considerato solo una manifestazione secondaria della natura umana, cioè del soggetto. Tuttavia il semplice orgoglio di se stessi e della propria nazione, per quanto intenso, non avrebbe portato ad esiti così spropositati se non fosse stato accompagnato da una dose consistente di aggressività imperialistica. Una volta terminato il territorio “vergine” e spartite le colonie, si avvertiva la martellante necessità di trovare un nuovo nemico su cui sfogare tutte le tensioni che le nazioni covavano in quegli anni. La guerra così diventa una feroce competizione, una lotta all'ultimo sangue tra più predatori, e naturalmente il popolo, soprattutto la componente borghese, non può che essere felice di tale avvenimento, specialmente perché le industrie di loro proprietà avrebbero presto “sfornato” armamenti a iosa. Ma ovviamente un'esaltazione di tale natura non poteva far altro che spegnersi presto; così nel 1917 il popolo europeo rifiuta la guerra, le è ostile, poiché troppe perdite sono state subite da tutte le nazioni e le popolazione è decimata. Ecco che ci appare chiaro il volto della guerra, ecco che nelle abitazioni si riesce a percepire la stessa tensione di morte dei soldati nelle trincee: finalmente l'Europa si accorge della follia e della paura nella quale i suoi figli sono stati costretti a vivere. “ Una coazione ormai interiorizzata portava a sedersi in un certo modo, a toccare oggetti particolari” “se questo rituale era completo si era salvi come sostiene Leed in Terra di nessuno”, sottolineando come l'assurdità del conflitto fomenti paure, follie, manie. Eppure lo storico italiano Gibelli, professore ordinario di Storia Contemporanea all'Università di Genova, esperto di Storia del movimento operaio e Resistenza, sostiene che la migliore qualità del soldato della guerra di massa sia appunto il non possedere qualità, l'essere rozzo e ignorante, “ un perfetto pezzo della macchina bellica”, “elemento standardizzato di un meccanismo”. Ciò dimostra come il macchinario della guerra sia dunque un meccanismo “alienante”, che snatura l'uomo e lo fa uscire da sé; ed è proprio per questo che, arrivati al 1917 la società rifiuta il conflitto. PAGINA 25