1914: dietro l' entusiasmo.
1914. Tutta l'Europa è scossa
da un fremito. La grande guerra
ha inizio. E, mentre le potenze
si affannano le une contro le
altre in opposti schieramenti, il
popolo esulta.
Francesi, Inglesi, Russi, Serbi e
più tardi anche italiani, nazionalità diverse unite sotto la
bandiera dell'entusiasmo: manifestazioni, parate, schiamazzi,
giovani che agitano le braccia in
moti di esultanza, bandiere svolazzanti. La guerra viene accolta con un sonoro assenso da
tutta
l'Europa,
tuttavia,
quest'entusiasmo non sarà destinato a durare.
Ma come può un conflitto di dimensioni enormi avere il favore
di mogli e di figli che vedranno
partire mariti e padri per il
fronte? Come può una guerra
con le sue devastazioni essere
accolta a braccia aperte da chi
andrà a combatterla?
Una delle ragioni per cui il popolo chiama a sé la guerra è
senz'altro la fiducia nella forza
della propria nazione, quel sentimento di patriottismo e di appartenenza, di orgoglio, che si
era generato a partire dal positivismo e dalla rivoluzione industriale.
L'uomo con la sua intelligenza
era di nuovo al centro del mondo e le sue potenzialità erano
infinite, la sua fiducia in se stesso così sterminata da sostituirsi
a Dio. Feuerbach infatti
parlerà di capovolgimento hegeliano di soggetto e
oggetto, dove lo spirito
deve ritornare ad essere
considerato solo una manifestazione secondaria
della natura umana, cioè
del soggetto. Tuttavia il
semplice orgoglio di se
stessi e della propria nazione,
per quanto intenso, non avrebbe portato ad esiti così spropositati se non fosse stato accompagnato da una dose consistente di aggressività imperialistica.
Una volta terminato il territorio
“vergine” e spartite le colonie, si
avvertiva la martellante necessità di trovare un nuovo nemico
su cui sfogare tutte le tensioni
che le nazioni covavano in quegli anni. La guerra così diventa
una feroce competizione, una
lotta all'ultimo sangue tra più
predatori, e naturalmente il popolo, soprattutto la componente
borghese, non può che essere
felice di tale avvenimento, specialmente perché le industrie di
loro proprietà avrebbero presto
“sfornato” armamenti a iosa.
Ma ovviamente un'esaltazione
di tale natura non poteva far
altro che spegnersi presto; così
nel 1917 il popolo europeo rifiuta la guerra, le è ostile, poiché troppe perdite sono state
subite da tutte le nazioni e le
popolazione è decimata.
Ecco che ci appare chiaro il volto della guerra, ecco che nelle
abitazioni si riesce a percepire
la stessa tensione di morte dei
soldati nelle trincee: finalmente
l'Europa si accorge della follia e della paura nella quale i
suoi figli sono stati costretti
a vivere. “ Una coazione ormai interiorizzata portava a
sedersi in un certo modo, a
toccare oggetti particolari”
“se questo rituale era completo si era salvi come sostiene Leed in Terra di nessuno”,
sottolineando come l'assurdità del conflitto fomenti
paure, follie, manie.
Eppure lo storico italiano Gibelli, professore ordinario di
Storia Contemporanea all'Università di Genova, esperto
di Storia del movimento operaio e Resistenza, sostiene
che la migliore qualità del
soldato della guerra di massa
sia appunto il non possedere
qualità, l'essere rozzo e ignorante, “ un perfetto pezzo
della
macchina
bellica”,
“elemento standardizzato di
un meccanismo”. Ciò dimostra come il macchinario della guerra sia dunque un meccanismo “alienante”, che snatura l'uomo e lo fa uscire da
sé; ed è proprio per questo
che, arrivati al 1917 la società rifiuta il conflitto.
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