DALLA FABBRICA AL PRODOTTO
L’ A. I. PER STRUMENTI PIÙ POTENTI E INTELLIGENTI
È indubbio che oggi l’ A. I. sia entrata a grandi passi nel mondo del lavoro e delle imprese, ma qual è la sua incidenza nel settore dell’ arredobagno e delle superfici? L’ abbiamo chiesto a 4 aziende che, in ambiti diversi, ne stanno sperimentando potenzialità ed efficacia, con risultati spesso inaspettati. Perché, spiega Stefano Franceschi, l’ A. I. è un alleato strategico: accelera i processi, amplifica la creatività, ottimizza logistica e produzione.
a cura di Francesca Guerini Rocco
Per molti è lo strumento del futuro. E già questo è il primo errore: perché l’ A. I, come ci spiega Stefano Franceschi, consulente specializzato in strategie, modelli e metodologie di applicazione dei principi strategici( management del mondo dell ' agile),“ è piuttosto la tecnologia abitante che potenzia lo strumento”. Non è nata oggi, ma per usarla al meglio serve soprattutto una nuova maturità digitale.
Da consulente, quali sono i primi passi che suggerisce a chi approccia questo strumento? Quando parliamo di A. I. non dobbiamo pensare a una tecnologia“ stand alone”, ma a una tecnologia abilitante da integrare in strumenti e processi. Il primo passo, quindi, non è introdurre l’ A. I. in sé, ma comprendere dove abbia senso farlo: analizzare i flussi aziendali, individuare quelli già basati su grandi quantità di dati strutturati e chiedersi se possano trarre vantaggio da un’ automazione intelligente. Non si tratta di sostituire l’ uomo o di inserire una chatbot su ogni scrivania: bisogna ridefinire i processi in ottica innovativa, per efficientare ed evolvere. Nella fase iniziale suggerisco sempre di partire da piccoli ambiti operativi, testare soluzioni concrete e costruire una maturità digitale progressiva, evitando l’ errore – molto comune – di introdurre l’ A. I. solo come una moda o come un“ Copilot aziendale”.
STEFANO FRANCESCHI Consulente Oriens Consulting
Dove e in che modo va applicata l’ A. I. perché risulti davvero efficace? In questo momento l’ A. I. mostra risultati tangibili soprattutto nelle operations: produzione, gestione materiali, logistica. È lì che si sta esprimendo con maggiore forza, grazie all’ integrazione con dati e sensori( IoT) e a strumenti come i digital twin. L’ A. I. aiuta la pianificazione, migliora il processo decisionale e – nei casi migliori – trasforma la struttura stessa del processo, portando valore reale. È sempre più centrale anche nella progettazione, prototipazione o nel dialogo tra design e produzione, ma a molte aziende manca la cultura necessaria per coglierne il potenziale. I vantaggi, però, sono evidenti: tempi ridotti, maggiore precisione, adattabilità ai comportamenti di mercato. L’ A. I. non è lo strumento. È la tecnologia che potenzia lo strumento.
Parliamo di stato dell’ arte e legalità. Quali sono le problematiche e i rischi che si stanno delineando? L’ A. I. Act europeo ha classificato i rischi in tre livelli: inaccettabili, ad alto rischio, a rischio limitato. Il rischio maggiore? Che l’ A. I. incida sui diritti fondamentali, dalla privacy alle libertà personali. Pensiamo al social scoring o alla discriminazione algoritmica: scenari già esistenti in altri contesti. L’ altro grande rischio è quello dell’ algocrazia: l’ algoritmo che prende decisioni senza supervisione umana, ad esempio nella sanità o nella selezione del personale. Ecco perché è urgente garantirne spiegabilità e trasparenza. L’ algoretica, disciplina che unisce etica e algoritmi, può aiutarci a definire una cultura digitale più consapevole.
Quindi non è l’ A. I. in sé a costituire un pericolo, ma l’ uso che ne facciamo. Esattamente. L’ A. I. non è né buona né cattiva. È l’ uomo che può farne un uso responsabile o irresponsabile. E qui si apre il vero tema: quello culturale. L’ A. I. non è nata ieri: il primo grande convegno sull’ A. I. risale al 1956. Oggi però rischiamo di ridurla a un mero strumento di profitto. Negare l’ A. I. sarebbe assurdo: è la rivoluzione tecnologica del nostro tempo, come lo è stato Internet. Ma per viverla davvero, dobbiamo alzare – ora- il livello culturale, come cittadini e come aziende.
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