GRANDE CUCINA 03-2025 | Page 4

EDITORIAL NOTE

CAMBIARE FA BENE

ANCHE SE NON PIACE A TUTTI

C’ è un punto da cui partire, semplice: il cambiamento della ristorazione non deve spaventarci. E c’ è un momento in cui senti che qualcosa si muove davvero, e che l’ evoluzione sarà più rapida di quanto si pensi.
@ Giulio Oldrini
Lo so, non è facile dirlo oggi. In un settore dove tutto sembra sfuggire di mano, dove molti fanno fatica a stare in piedi e i modelli storici si incrinano. Ma è proprio nei momenti scomodi che vale la pena fermarsi e provare a leggere cosa sta davvero succedendo. E quello che sta succedendo, piaccia o no, è più ampio di una moda o di un trend passeggero. Non riguarda solo la cucina, le tecniche o la creatività. Riguarda l’ intero sistema. Tocca la sala, la gestione, la narrazione, le scelte imprenditoriali. In questo numero abbiamo raccontato, ad esempio, come uno chef possa interpretare un territorio come la Sicilia e rappresentare una storia che ispira giovani promesse. O come la pizza – anche per gli chef – non sia solo comfort o tradizione, ma una passione e un prodotto da approfondire con sguardo nuovo. Negli ultimi mesi ha fatto molto discutere la scelta di alcuni ristoranti – anche blasonati – di restare aperti solo a pranzo. O di chiudere nel weekend, il sabato e la domenica, per tutelare la qualità della vita dei dipendenti. C’ è chi ha parlato di crisi. Chi ha gridato allo scandalo. Chi si è chiesto se ha ancora senso parlare di ristorazione come una missione. In realtà, queste decisioni sono il segnale che qualcosa si sta muovendo. Che i paradigmi tradizionali non tengono più. Che la priorità oggi non è più solo“ riempire il locale”, ma costruire un progetto che stia in piedi nel tempo, per chi lo guida e per chi ci lavora dentro Nel frattempo, torna in discussione un tema che in Italia sembrava lontano: le mance obbligatorie. In alcuni locali si parla di aggiungerle al conto, in modo trasparente, per riconoscere il lavoro della sala e riequilibrare un sistema spesso sbilanciato. Anche qui: non è una rivoluzione. È un sintomo. Un segnale che il valore del lavoro – soprattutto quello meno visibile – va ripensato, riconosciuto, regolato. Non basta più raccontare la cucina. Serve parlare anche di chi accoglie, accompagna, gestisce. Ci siamo abituati a pensare che innovare significhi solo sorprendere il cliente con qualcosa di nuovo nel piatto. Ma la vera trasformazione oggi passa altrove. Passa per modelli di ristorazione più agili, meno autoreferenziali, più sostenibili dal punto di vista umano ed economico. Passa per la sala che si ripensa, per il servizio che si alleggerisce senza perdere autorevolezza. Per una cultura del lavoro che tenga conto delle persone, non solo delle recensioni. Degli ospiti, che non sono solo clienti, ma parte attiva dell’ esperienza. E soprattutto, passa da un nuovo senso del mestiere.
Buona lettura. Federico Lorefice