GRANDE CUCINA 01-2023 | Page 97

© Adobestock

rantena prima di essere ammessi . Oggi fantastico museo sull ’ immigrazione ricco di documenti dell ’ epoca . Indimenticabile la lettera di un uomo che scrive a casa : “ sono venuto in America sperando di trovare strade lastricate d ’ oro , invece non ci sono neppure le strade e le fanno costruire a me ”. Fino al secondo dopoguerra non si va molto al ristorante , non sono ancora nati i fast food , i Diners sono i locali dove ci si siede per un hamburger , un piatto di stufato , o per il brunch a base di pancakes o waffel . La cucina italiana comincia a cambiare volto dopo la seconda guerra mondiale . Nel 1955 sbarca a New York l ’ Accademia della Cucina Italiana , nata due anni prima da un ’ idea di Orio Vergani con lo scopo di tutelare la tradizione . A New York il fondatore è Renato Pachetti , presidente di Rai Corporation , certo qui la tradizione è ancora lontana dai crismi dell ’ autenticità . Lidia Bastianich , la mamma di Joe , nata a Pola , arrivata dopo aver abbandonato

la Jugoslavia e il regime titino nel 1956 passando per un campo profughi in Italia prima di giungere ad Astoria nel Queens nel 1958 , porta molta Italia nelle case grazie alla televisione e ai libri : insegna come fare le lasagne , ma anche la polenta e il risotto . Sempre negli anni Settanta sbarcano in città Toni Mei e Sirio Maccioni : imprenditori che spostano il livello verso il fine dining . Non sono cuochi ed è forse questo il loro limite rispetto ai francesi che invece importano chef e brigate . Comunque Mei prima con Rainbow Room e poi San Domenico e Maccioni con Le Cirque presentano piatti italiani più raffinati . Un nome , oggi scomodo , che più di ogni di altro ha dato lustro all ’ Italia è Mario Batali , recentemente travolto da decine di denunce per molestie sessuali e costretto ad abbandonare tutte le sue società . Il suo locale più esclusivo è stato Del Posto , dove ho assaggiato degli straordinari ravioli di zucca contaminati , però , con zenzero al
posto della mostarda e katsobuschi al posto del parmigiano . Insomma ancora lontani dal rigore dell ’ originalità . « Dodicimila dei sessantottomila ristoranti di New York , sono catalogati come italiani », racconta a Grande Cucina Berardo Paradiso , capo condotta dell ’ Accademia della Cucina Italiana , memoria storica dell ’ evoluzione del mangiare di casa nostra in città , « quelli autentici non sono più di una trentina . Il passo è cambiato quando sono cominciati ad arrivare ragazzi che hanno lavorato in Italia , cosa che i francesi hanno fatto molti anni fa ». Rispetto a qualche lustro fa inoltre sono reperibili ingredienti di qualità prima introvabili . Di Riccardo Orfino abbiamo già parlato su queste pagine , ad Astoria nel Queens ci sono i ragazzi di Sotto la Luna , al Chelsea Market spopola La Devozione con il suo tavolo ovale attorno alla cucina dove si esibisce Alessio Rossetti , diverse aziende italiane hanno puntato su Michele Casadei Massari come Ambassador per il suo seguito sui social , a Stefano Secchi dedichiamo un ritratto con le sue ricette in questo numero . Non tutti quelli che ci hanno provato , però , hanno saputo capire come gira l ’ industria della ristorazione , ora tentano Roscioli e la Pizzeria Da Michele . Sorbillo , anche causa Covid , si è ritirato , prima ancora aveva fallito Davide Scabin . Manca ancora il riconoscimento delle guide . I grandi ristoranti tristellati sono cinque : tre dichiaratamente francesi , uno abbastanza ispirato da quella cucina , uno giapponese e uno veramente contemporaneo americano . Sono classificati come italiani un due stelle e tre una stella , tra cui Retzdora di Stefano Secchi che ha una certezza : « arriverà il giorno in cui ci sarà un tre stelle italiano ». Il turismo americano in Italia oggi non è solo per le città d ’ arte e se una volta a casa i viaggiatori ritrovano l ’ originalità dei sapori scoperti in vacanza sono felici .
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