Fare Diversamente! Mi racconti di quando... a Rho | Page 41

Cominciò così la mia avventura scolastica a Rho, dove i miei mi avevano iscritta perché la Media Manzoni era considerata seria e giustamente severa. Era così, lo verificai nei tre anni successivi.

Anni che la mia memoria non ha conservato nella loro interezza: alcune immagini, luoghi, volti di compagne e insegnanti, insieme alla sensazione di diversità, a Rho perché venivo da fuori e nel mio paese perché me ne ero andata. Risale forse ad allora il senso di diversità e di estraneità che nella vita ho rivissuto, tanto da dire: “Io non sento di appartenere ai miei luoghi di origine, anzi, io sento di non appartenere a nessun luogo, solo a situazioni”.

Andare a scuola a Rho però aveva dei vantaggi: frequentare quella che ai miei occhi era una metropoli, con il mercato, i bar, i negozi, l’ospedale, i palazzi, le persone eleganti… un mondo che mi dava ogni giorno una sensazione di libertà, proprio nel momento in cui, senza darle un nome, cominciavo a desiderarla.

Camminavo nel vicolo Pomè, delimitato da edifici malandati, con le finestre dalle inferriate arrugginite e coperte di polvere e ragnatele. Non erano edifici orgogliosi della loro età e della loro storia, erano vecchi e sofferenti d’incuria, prima che cominciasse la gloria del passato.

Camminavo rasente quei muri la cui polvere non mi infastidiva, distingueva il passato dal presente, da quei palazzi che si cominciavano a vedere, provvisti di quella meraviglia che erano gli ascensori.

Camminavo in quelle stradine gustando la solitudine, i pensieri rivolti alle nuove amicizie, al pullman da prendere, ai compiti…

Mi concedevo a volte un cono di panna montata con una spolverata di cannella, una nuvola di gusto su un cono croccante: una delizia!

Cerco altre immagini nel mio album interiore e trovo alcune insegnanti della Manzoni.

Prima fra tutte, pur non essendo mia professoressa, Maria Luisa Melchiorre.

Figura familiare perché era stata l’insegnante di italiano e latino di mia sorella Piera, mentre l’altra mia sorella si era preparata con lei per il concorso magistrale. Mia madre una volta la invitò da noi a pranzo. Allora non c’erano pericoli di confusione di ruoli o, peggio, di conflitto tra insegnanti e famiglie e lei venne portando in dono una busta di Borotalco Roberts.

Io ancora non la conoscevo, se non attraverso gli aneddoti delle mie sorelle, i quali mi avevano preparata ad un personaggio singolare.

Ai miei occhi di allora era anzitutto vecchia: capelli grigi malamente raccolti, occhiali spessi, nonostante i quali doveva comunque leggere a distanza ravvicinata con la testa protesa in avanti, con una postura curva. L’abbigliamento poi era quanto di più improbabile si potesse, noncurante di qualunque moda.

Era lo stereotipo della studiosa distratta, senza una vita privata, inconsapevole dei giudizi poco rispettosi degli alunni.

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