“Papà, che già era presidente della Fise, stava recandosi in auto, con mamma, fuori Roma, quando sentì alla radio che Roma era stata prescelta come sede delle Olimpiadi del 1960; Girare la macchina e rifare la strada percorsa in direzione della Capitale fu un tutt'uno. A papà era balenato subito in mente quale avrebbe dovuto assolutamente essere la sede per il cross del completo olimpico: i Pratoni del Vivaro.
Non c'era altro posto migliore nei dintorni della capitale. I ricordi delle tante cacce alla volpe fatti con il field e la muta romana su quelle colline morbide e leggermente ondulate gli era subito balzato in mente, chiaro e netto. Un terreno vulcanico, elastico, non stancante per i cavalli; le variazioni del terreno, il clima, il paesaggio stesso, tutto ne faceva ai suoi occhi la sede ideale di una delle più emozionanti specialità dei Giochi equestri, il Completo. Ma occorreva far presto, i tempi erano strettissimi e c'era da inventarsi e costruire un mondo tutto nuovo lì dove pascevano tranquille greggi di pecore e placide bovine”.
Inizia così il racconto di Cintia Campello, che in
una chiacchierata telefonica ci svela
la nascita dei Pratoni del Vivaro inteso
come Centro Equestre Federale.
Ranieri
di Campello,
L'inventore
dei pratoni
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Albino Garbari (a sinistra) e Gianni Nicolè,
con il piccolo Stefano Carli in mezzo. Era il 1956