Edizione straordinaria febbraio 2018 Edizione straordinaria del cantone dei Grigioni | Page 7
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Intervista al Consigliere nazionale Jean-François Rime
I trattati con l’UE non devono
diventare un cumulo di rischi!
Il Consigliere nazionale e imprenditore Jean-François Rime mette in guardia contro la
docile sottomissione a un Diktat dell’UE rappresentata dalla completa armonizzazione del
sistema giuridico. Egli vive a Bulle, è sposato ed è padre di tre figli adulti. Dal 2012 è
presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri.
Quale presidente dell’Unione sviz-
zera delle arti e mestieri, con alle
spalle 300 000 imprese, in materia
di politica economica estera Lei si
trova di fronte a delle sfide quasi
storiche. Cosa bisogna fare o non
fare per sostenere le forze economi-
che?
I nostri punti di forza nel contesto glo-
bale continuo a vederli nell’attrattività
della piazza e nell’efficienza e produtti-
vità, grazie alla nostra alta qualità e
competitività. È così che ci distinguia-
mo dalla media. Vale la pena di salva-
guardare e promuovere questi punti di
forza. In nessun caso dobbiamo delega-
re all’estero la responsabilità per il no-
stro successo economico. Sarebbe disa-
stroso aspettarci dall’estero la soluzione
dei nostri problemi.
tante partner commerciale della Sviz-
zera, ma su un piano di reciprocità, va
giustamente riservata la massima at-
tenzione. Ma nel contempo dobbiamo
anche badare a non dipendere dall’UE,
altrimenti creiamo un cumulo di rischi.
Le possibilità economiche della Svizze-
ra vanno ben oltre lo spazio UE. Ricor-
do che la Svizzera, nel 2014, è stata la
prima nazione europea a poter sotto-
scrivere un accordo di libero scambio
con la Cina.
E come si dovrebbe posizionare la po-
litica economica estera nei confronti
dell’UE?
Bisogna soprattutto curare i vantaggi e
le buone condizioni degli accordi bilate-
rali con l’UE e svilupparli ulteriormen-
te. La forza negoziale della nostra di-
plomazia economica è messa alla prova
come non mai. Non la presunzione e
l’arroganza ci sono d’aiuto, ma la con-
sapevolezza dei nostri punti forti. Così
si viene presi sul serio quali partner ne-
goziali. Dei mendicanti animati da
precipitoso zelo, hanno perso ancora
prima di raggiungere il tavolo della riu-
nione di Bruxelles. Un veleno per la no-
stra efficienza economica sono anche le
insensate norme Swiss-Finish. Come
primi della classe, seguiamo alla lettera
queste norme-museruola, solo per esse-
re graditi ai nostri partner negoziali,
ma in questo modo ci indeboliamo.
Come giudica gli effetti dell’accor-
do-quadro istituzionale che l’UE vuole
così urgentemente stipulare con la
Svizzera?
Lo sapevate …
… che la Svizzera è uno dei partner
commerciali più importanti dell’UE?
Nonostante che l’UE commerci in tutto il
mondo, la Svizzera è stata anche nel 2016
di nuovo il terzo partner nello scambio di
merci con l’Unione europea. Il 7,7% (264
miliardi di euro) degli scambi commerciali
di merci dell’UE ha avuto luogo con la
Svizzera. I primi posti sono stati occupati
dalla Cina (15,2%) e dagli USA (17,7%).
La Svizzera è così per l’UE un partner
commerciale più importante della Russia
(5,5%), della Turchia (4,2% o del Giappo-
ne (3,6%).
Dove vede gli appigli per raggiungere
il successo con questa strategia?
Citerò due concetti-chiave: la forza
del franco rispettivamente la debolez-
za dell’euro, e i costi della regolamen-
tazione. Poiché la Svizzera non ha al-
cuna influenza diretta sui problemi
dell’UE, dobbiamo puntare in altre
direzioni. Le imprese hanno già fatto
moltissimo in questo senso. Invece, la
politica è in ritardo. E ciò ci causa dei
costi esagerati, peraltro autoprovoca-
ti, della regolamentazione. Dal 2010
sappiamo che in questo modo ci osta-
coliamo e strangoliamo da soli. Dei
costi di regolamentazione inutili ed
evitabili si mangiano circa 10 miliar-
di di franchi del nostro prodotto inter-
no lordo. Dal 2013 giacciono nei cas-
setti del Consiglio federale dei piani
per attenuare questo svantaggio fatto
in casa nei confronti della concorren-
za estera.
È corretta l’ipotesi che il Consiglio fe-
derale si concentri soprattutto sulle re-
lazioni con l’UE, o è solo un’impressio-
ne?
Per niente! All’UE, quale più impor-
Metto in guardia contro la docile sot-
tomissione a un Diktat dell’UE rap-
presentata dalla completa armoniz-
zazione del sistema giuridico. Ciò
annienterebbe totalmente il nostro
spazio di manovra e indebolirebbe in
modo duraturo la nostra posizione.
Perché è molto meglio e più giusto
che agiamo e ci sviluppiamo in modo
diverso dall’UE. Con un accor-
do-quadro come prospettato, ci sot-
tometteremmo senza clamori all’UE
quale insignificante piccolo Stato,
senza aderirvi. La migliore alternati-
va è per me l’attenta cura degli ac-
cordi bilaterali, perché questo siste-
ma ci garantisce la certezza del
diritto. Gli accordi bilaterali sono
accordi a parità di diritti. Nessun
partner è inferiore all’altro, nessun
partner deve riprendere le regola-
mentazioni o la giurisdizione dell’al-
tro. Affinché le cose rimangano così,
dobbiamo assumerci noi stessi le no-
stre responsabilità e difendere la de-
mocrazia diretta che ci assicura l’au-
todeterminazione.
… che la Svizzera ha più disoccupati
della Germania?
Secondo l’Organizzazione internazionale
del lavoro (ILO), nel 2016 la media annua-
le della disoccupazione giovanile in Sviz-
zera era, con l’8,6%, più alta che in Ger-
mania (7%). Lo stesso vale per la quota
dei disoccupati che, sempre nel 2016,
ammontava per la Svizzera al 5% e per la
Germania al 4,1%.
… che la crescita della produttività in
Svizzera, dall’introduzione della totale
libera circolazione delle persone, è ne-
gativa?
La crescita di produttività in Svizzera dal
2007 è nel complesso addirittura negati-
va. Nel decennio prece-
dente, registravamo an-
cora una crescita annua
di uno scarso 2% (BCA
Research 2017).
Volontà popolare? Democrazia diretta? Decisioni in votazione? Per la Bruxelles-UE
la volontà popolare è soprattutto una cosa: fastidiosa!
Verena Herzog,
Consigliera nazionale,
Frauenfeld (TG)
Che cosa vuole l’accordo-quadro con l’UE?
A fine 2012, l’UE ha comunicato alla Svizzera che ul-
teriori negoziati bilaterali sarebbero entrati in linea di
conto solo se la Svizzera si fosse legata più strettamen-
te all’UE con un accordo-quadro istituzionale. Chi
vuole avere accesso al mercato interno, deve accettare
incondizionatamente l’attuale e il futuro diritto UE, e
si deve assoggettare alla Corte di giustizia dell’UE.
Questa decide definitivamente in caso di litigi, cosa
che può portare a sanzioni (misure punitive). Per la
Svizzera, tale accordo-quadro avrebbe gravi conse-
guenze:
• se una legge UE tocchi anche gli accordi bilaterali con
la Svizzera, lo decide unicamente l’UE. Se del caso, la
Svizzera dovrebbe riprendere tutte le leggi UE che
toccano anche gli accordi bilaterali. Al momento della
sottoscrizione degli accordi bilaterali, la Svizzera ri-
prese l’allora situazione del diritto UE. Da allora, il
diritto UE ha continuato a evolversi. Secondo Bruxel-
les, oggi certi accordi non sono più conformi al più
recente diritto UE; • invece del «miliardo di coesione» quale contropartita
• in caso di divergenze circa l’interpretazione degli ac-
cordi bilaterali, decide in ultima istanza la Corte di
giustizia dell’UE. Senza diritto di parola, la Svizzera
dovrebbe riconoscere ed eseguire le decisioni di que-
sto tribunale di parte. Se la Svizzera non dovesse dar
seguito a una decisione della Corte di giustizia
dell’UE, quest’ultima potrebbe adottare delle misure
punitive. Gli attuali accordi bilaterali non nominano
alcun tribunale che possa decidere in caso di diver-
genze. In caso di litigi, le divergenze d’opinione ven-
gono risolte a livello diplomatico, senza minacce di
sanzioni; • l’accordo non è un contratto fra partner «a parità di
volontaria per l’accesso al mercato interno, in futuro
la Svizzera dovrebbe versare all’UE degli importi an-
nuali;
diritti», bensì un dissimulato trattato di sottomissione
o coloniale. Anche se non tutti i dettagli dell’accor-
do-quadro sono ancora noti, si vede già sin d’ora che
alla Svizzera vengono impos ti solo degli obblighi,
mentre non le viene concesso alcun diritto.
Un tale «trattato d’amicizia» che integra la Svizzera
nell’UE non è conciliabile con la forma di democrazia
diretta dello Stato svizzero, e deve quindi essere quindi
combattuto con tutte le forze da popolo e cantoni –
istanza suprema del paese.
Commento
Miliardo di
coesione, perché?
Lo scorso novembre, il presidente della
Commissione UE Jean-Claude Juncker si
è recato in visita a Berna. Si toccava il
cielo con un dito. Presumiamo. La presi-
dente della Confederazione Doris Leu-
thard era al settimo cielo. Juncker parla-
va con voce flautata di «amicizia» e di
«momento meraviglioso». Per questo ha
potuto mietere promesse per l’importo di
1,3 miliardi di franchi. Doris Leuthard ha
confermato, tutta orgogliosa, che il regalo
in denaro «non è vincolato a interessi po-
litici», dunque senza alcuna contropartita.
Un mucchio di cocci
Intanto, la diplomazia dello sperpero di Leu-
thard giace in frantumi. I regali non hanno
portato niente. Al «momento meraviglioso»
fanno seguito i postumi della sbornia. I sus-
surri di Juncker celano delle pugnalate alla
schiena della presidente della Confedera-
zione. Bruxelles non attua una politica d’a-
micizia bensì – e chi se ne stupisce – di
puro interesse: l’«amico» di Leuthard, Jun-
cker, vuole costringere con la forza la Sviz-
zera a un matrimonio istituzionale forzato
con l’UE, giudici stranieri compresi.
Ricatto
Concretamente, l’UE pretende che in futuro
riprendiamo automaticamente il diritto eu-
ropeo. In caso di dubbi, dovrebbe decidere
la Corte di giustizia dell’UE. Se la Svizzera
rifiuta, Bruxelles minaccia vessazioni con-
tro la piazza finanziaria. Perlomeno, adesso
sappiamo che cosa intende l’UE di Juncker
per amicizia. È l’amicizia di un padrino del-
la mafia che amichevolmente ti rompe un
braccio quando ti opponi alle sue pretese.
Malafede
Adesso viene a galla l’annoso doppio gioco
del Consiglio federale e dei suoi diplomatici.
I quali raccontavano a Bruxelles che avreb-
bero in qualche modo, un passo alla volta
per via bilaterale, portato la recalcitrante
Svizzera ad avvicinarsi, rispettivamente
aderire all’UE. Agli Svizzeri dicevano invece
che l’obiettivo era l’indipendenza bilaterale.
Adesso, l’UE ha scoperto l’imbroglio ed è
arrabbiata. La si può quasi capire.
E adesso?
E adesso? Il Consiglio federale deve final-
mente parlare chiaro con Bruxelles: la
Svizzera vuole avere dei buoni rapporti
con l’UE, ma non vogliamo né l’adesione,
né un inquadramento, né la ripresa auto-
matica del diritto, né tantomeno giudici
stranieri. E nemmeno vogliamo distribuire
1,3 miliardi a paesi che, grazie alla nostra
sponsorizzazione, possono abbassare le
loro imposte e accalappiare così le nostre
aziende. E vogliamo di nuovo gestire au-
tonomamente la nostra immigrazione!
Nessun matrimonio forzato
L’UE non gradirà, ma questo non è così
grave. L’UE vuole molto da noi, ma noi
non vogliamo nulla di quanto Bruxelles
potrebbe darci. Perciò, il nostro consiglio
a Palazzo federale è: respirare profonda-
mente, rimanere saldi; buoni rapporti
sempre ma, per favore, nessun matrimo-
nio forzato con l’Unione europea. Juncker
dovrà digerire questa offerta di amicizia.
Consigliere
nazionale Roger
Köppel, editore e
capo-redattore
Weltwoche,
Küsnacht (ZH)