In alto: fotografia dal set di “Per un pugno di dollari”.
Sopra: Clint Eastwood, fortemente voluto da Sergio Leone
per la “Trilogia del Dollaro”.
A destra: il celebre poncho indossato da Clint Eastwood
nei film di Sergio Leone. Foto Lorenzo Burlando.
e L’eredità Leone.
Difficile non identificare al volo un film
del regista italiano. Gli sguardi penetranti
e magnetici dei protagonisti, le lunghe
pause silenziose, le inquadrature che
indugiano su un dettaglio della scena: ecco
alcuni tratti distintivi di quello che negli
anni è stato riconosciuto come un nuovo
modo di fare cinema.
Nelle pellicole di Sergio Leone il classico
western rivive in reiterate sfide a colpi
di occhiate, primissimi piani a suonare
come ineluttabili sentenze. Non è un
caso che Leone scelga Clint Eastwood,
allora modesto attore TV americano, e ne
faccia un divo. E alle incalzanti richieste
dell’attore, vedi ad esempio quella di
abbandonare nelle riprese l’utilizzo del
sigaro, il regista replica secco: il sigaro era
ormai da considerarsi un coprotagonista
dei suoi film e per questo elemento
irrinunciabile. Succede nella cosiddetta
“Trilogia del Dollaro”, resa leggendaria
anche dalle splendide colonne sonore di
Ennio Morricone, avviata nel 1961 con “Per
un pugno di dollari” (film per il quale Leone
viene accusato di plagio) e proseguita
con “Per qualche dollaro in più” del 1965
e “Il buono, il brutto e il cattivo” del 1966.
Sergio Leone, che al debutto nel mondo
del cinema si era dedicato al peplum
(genere del filone storico-mitologico), con
la Trilogia del Dollaro ottiene grandissimo
successo a livello internazionale e, grazie
agli incassi del botteghino e alla fama
crescente, riesce a superare alla grande
difficoltà e diffidenze iniziali.
I successivi lavori sono conferma,
completamento e sublimazione della sua
arte: il regista è ormai diventato un cult.
Nel 1968 esce “C’era una volta il west”,
prodotto dalla Paramount, una tormentata
e a tratti violenta riflessione sul mito
americano, fra disillusione e nostalgia.
Leone, che si avvale dell’aiuto di Bernardo
Bertolucci e Dario Argento, vuole nel cast
Henry Fonda, Claudia Cardinale e Charles
Bronson. È l’esordio di una nuova Trilogia,
quella del Tempo, che prosegue nel 1971
con “Giù la testa”.
“C’era una volta in America”, datato
1984 e con Robert De Niro protagonista
d’eccezione, è l’ultima grande fatica
del regista romano, chiosa ideale
di un percorso improntato su una
rilettura personale, romantica ma anche
drammatica, della leggenda americana.
Un film lunghissimo, anche se poi
ridotto a poco più di 2 ore nella versione
d’oltreoceano, a raccontare ascesa e caduta
di una banda gangster nella New York del
post-proibizionismo. Nell’atto finale della
sua immensa eredità, la cinepresa di Leone
si muove con un sottile gioco di rimandi
e flashback nello snodarsi di un racconto
filmico che è memoria e sfida, ma pure
incontro di culture.
Il duello è metafora della vita stessa, in
scena su una frontiera che non esiste più
ma che rinasce nello sguardo entusiasta
e appassionato del regista, a celebrare
per sempre il riscatto degli antieroi.
arapacis.it
Fino al 3 maggio 2020