Nella pagina accanto: Erwin Olaf, Keyhole, Keyhole 6, 2012. Courtesy Paci contemporary gallery( Brescia-Porto Cervo) A lato: Erwin Olaf, Grey Magazine, 05, 2012. Courtesy Paci contemporary gallery( Brescia-Porto Cervo) Sotto: Erwin Olaf Grief, Sara Portrait, 2007. Courtesy Paci contemporary gallery( Brescia-Porto Cervo).
Stefania Vitale stefania. vitale @ dentrocasa. it
S ostano in attesa, in un tempo saturo di presagi, senza voce e con poco colore. L’ aria intorno è densa, come se qualcosa debba ancora davvero accadere. Sono i soggetti di Erwin Olaf, attraverso i quali si respira il silenzio della solitudine, o addirittura il peso invisibile dell’ abbandono: è così che si fa strada l’ eco di un distacco che trova riparo in ambienti anonimi, appartenenti ad un universo che sembra a sé stante. È in corso alla galleria Pacy contemporary di Brescia la mostra dal tema“ In memoriam: Erwin Olaf 1959-2023” che, attraverso un’ ottantina di opere, in parte inedite, propone un viaggio suggestivo nella variegata produzione del fotografo olandese, celebre soprattutto per le immagini audaci e provocatorie, alcune realizzate per campagne pubblicitarie di grandi aziende internazionali, ma anche raffinato interprete della contemporanea fotografia di ritratto. Il percorso espositivo parte da“ Chessmen”, serie che lo ha reso famoso a livello internazionale consentendogli la vittoria al concorso Young European Photographer nel 1988, fino agli ultimi progetti“ April Fool” e“ Im Wald”( 2020), passando per le iconiche“ Paradise”( 2001),“ Rain”( 2004),“ Hope”( 2005),“ Grief”( 2007),“ Fall”( 2008),“ Keyhole”( 2011-2013) e la trilogia“ Berlino-Shangai-Palm Springs”( 2012-2018). Eccezionale interprete di mise en scène di ispirazione teatrale, Erwin Olaf è anche elegante cantore di un’ umanità“ irrisolta”, drammaticamente circondata di assenze, al di là di ogni apparenza. Infatti“ ciascun essere umano porta con sé una rottura interiore. Anche se indossa il miglior vestito della domenica” spiegava lo stesso Olaf. E nella mostra bresciana emergono a gran voce le contraddizioni di un mondo che non sa ancora dare risposte adeguate al disagio, all’ emarginazione, alla diversità. Non resta così che leggere l’ autenticità di tanto turbamento attraverso il velo di malinconia che ammanta gli sguardi e li connette ad un presente fatto a pezzi. Olaf si fa cantore privilegiato dell’ irrequietezza interiore, utilizzando di frequente l’ arma della provocazione. Le figure ritratte, spesso abbracciate da luci soffuse, vivono atmosfere a tratti indecifrabili, traboccanti di rimpianto, come fossero alla ricerca di nuovi appigli. Con sé portano bagagli di un’ esistenza frantumata in memorie struggenti e simultanee prese di coscienza. Dopo la scomparsa di Erwin Olaf, la sua iconica“# Hope 5” è stata inserita nella Galleria d’ Onore del Rijksmuseum di Amsterdam e per il prossimo autunno lo Stedelijk Museum ha in programma una grande retrospettiva dedicata proprio allo stesso artista. E la mostra bresciana, realizzata in collaborazione con lo Studio Olaf e la Fondazione Erwin Olaf, si inserisce appunto nell’ eco dei grandi riconoscimenti ottenuti dal fotografo in tutto il mondo. L’ idea è quella di fornire alcuni accenti identificativi della sua straordinaria carriera che, se agli esordi appariva come dichiarata sfida alle convenzioni morali e sociali, nel prosieguo ha virato verso un mood più riflessivo, con ambientazioni che privilegiano gli interni e espliciti riferimenti agli anni’ 50. Come messaggi d’ inquietudine che sbiadiscono nell’ attimo, mischiando il desiderio di riscatto al lento scolorire delle emozioni. Frammenti di storie che sfumano in nostalgici scorci di bellezza.