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innovative anche per la maggioranza dei
lavoratori esclusi, soprattutto nelle PMI
e nelle Pubbliche Amministrazioni, dove,
nonostante gli apprezzabili sforzi a livello
normativo, la diffusione oggi è tutt’altro
che incoraggiante. Le azioni di sistema
portano a sperare a un cambio di passo per
il prossimo anno, in cui lo smart working
possa rivelarsi un’occasione di rilancio per
tanti lavoratori”.
Per quanto riguarda gli smart worker, il loro
numero è aumentato rispetto al 2016 e
oggi interessa l’otto per cento del totale dei
lavoratori della popolazione considerata.
Nel complesso se ne stimano 305mila
nel nostro Paese. Il fenomeno tocca per
ora principalmente il settore privato, e in
particolare la grande impresa, ma non
è estraneo ai lavoratori della pubblica
amministrazione, che rappresentano il 17%
dei lavoratori agili complessivi, una quota
destinata a crescere grazie alla direttiva della
riforma della Pubblica Amministrazione, che
punta a coinvolgere almeno il dieci per cento
dei dipendenti di ciascuna organizzazione
pubblica entro tre anni in progetti di smart
working o di flessibilità nell’organizzazione
del lavoro.
Il 31 per cento degli smart worker dichiara di
lavorare in un’organizzazione che ha progetti
strutturati di lavoro remoto; la restante
parte in contesti in cui non è formalizzato
oppure gode di forme di flessibilità legate al
proprio ruolo. Rispetto agli altri lavoratori,
i lavoratori smart sono caratterizzati da
un’elevata mobilità nei luoghi di lavoro:
trascorrono mediamente solo il 67 per cento
del tempo lavorativo in azienda, contro
l’86 degli altri. Inoltre, sono sempre meno
legati a una singola postazione: diminuisce,
rispetto all’anno passato, il tempo dedicato
al lavoro fisso alla propria postazione (39
per cento) a favore di quello svolto da altre
postazioni all’interno delle sedi di lavoro (15)
o in altre sedi della propria azienda (13);
per la restante parte del tempo gli smart
worker lavorano in luoghi esterni alla propria
azienda (da clienti o fornitori, a casa o in