EDITORIALE
È
stato tempo di referendum: in questo mese i cittadini italiani
sono stati chiamati a decidere se abrogare, o meno, una frase
presente nella legge di stabilità 2016, ovvero: “per la durata di
vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza
e di salvaguardia ambientale”. Temo che, anche a posteriori,
non si siano pienamente comprese queste parole. Questo
referendum è stato detto delle “Trivelle”, perché impattava
direttamente sulla possibilità di proseguire, fino a esaurimento,
le attuali estrazioni di gas e petr olio entro i 20 chilometri (12
miglia) dalle nostre coste. Votando “SI” e quindi abrogando la
suddetta frase, le attuali 21 concessioni di trivellazione, oggetto
della controversia, non sarebbero state rinnovate alla loro
naturale scadenza. Queste concessioni hanno una durata tipica
di trent’anni, quindi anche votando SI, di fatto, non sarebbe
avvenuto alcun blocco delle trivellazioni nell’immediato, ma solo
al termine del periodo di concessione. Viceversa votando “NO”,
le attuali concessioni sarebbero rimaste attive fino a esaurimento
naturale delle risorse. Non possiamo dimenticare che l’apporto
di gas e petrolio di queste piattaforme è veramente limitato
rispetto ai bisogni nazionali e le estrazioni sarebbero comunque
continuate ancora per molti anni indipendentemente dal risultato
del referendum. Da questo emerge che la valenza politica che si
è voluta dare a questo referendum è stata sproporzionata, con
il risultato di non fare capire ai cittadini su cosa erano chiamati
a decidere. Ben sappiamo che anche in passato i referendum
non hanno riscosso l’attenzione e la partecipazione sperata,
ma indipendentemente dal pensiero di ciascuno, trovo una
irrinunciabile prova di democrazia andare a votare ed esprimere
la propria scelta. Per questo l’astensione significa demandare
ad altri il nostro diritto/dovere di partecipare alla vita pubblica. A
questo proposito trovo veramente triste che figure chiave delle
Istituzioni abbiamo invitato al “non voto”.
9