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CITY LIFE MAGAZINE N.21
Sono due i principali fattori, peraltro
collegati fra loro, che alimentano i dubbi
sulle prospettive delle energie alternative:
il trend ribassista del petrolio e la riduzione
della domanda mondiale di energia.
Nell’ottobre 2014 il prezzo di un barile di
greggio, da anni stabilmente sopra i 90
dollari, crollò vertiginosamente, più che
dimezzandosi in meno di tre mesi. Dopo
un breve ritorno a 60 dollari nel corso del
2015, il prezzo scese sotto i 30 dollari nel
febbraio 2016, per poi risalire leggermente
nel mese di marzo. I motivi principali di
questo crollo possono essere individuati
da una parte nella netta riduzione della
produzione industriale, in particolare nei
paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina,
Sudafrica), dall’altra nella decisione dei
paesi OPEC (in primis l’Arabia Saudita) di
non ridurre l’offerta di greggio, col fine non
dichiarato di rendere non competitivo il
brent estratto dal Mare del Nord e lo shale
oil ricavato negli USA frantumando gli scist i
bituminosi.
Questo trend ribassista non è destinato
a invertirsi rapidamente e in maniera
consistente: gli analisti di mercato sono
abbastanza concordi nel pronosticare che
il prezzo di un barile di greggio ritornerà
a crescere lentamente, ma rimarrà sotto i
40-50 dollari per tutto il 2016 e il 2017 e
secondo alcuni addirittura fino al 2020.
È evidente che uno scenario del genere non
può non indurre al pessimismo sul futuro
delle fonti rinnovabili, che sembrerebbero
destinate a uscire dal mercato per
mancanza di competitività. Ma è proprio
così? Evitiamo di trarre conclusioni
affrettate, e analizziamo attentamente i
dati disponibili, che testimoniano invece
come l’avanzata delle rinnovabili possa
proseguire anche in presenza di un petrolio
a basso costo. Nel 2015 gli investimenti
in fonti rinnovabili hanno raggiunto la cifra
monstre di 328,9 miliardi di dollari: si tratta
del nuovo record, superiore ai risultati del
2011, che fa seguito alla ripresa del 2014
dopo un biennio di contrazione. I Paesi