City Life Magazine 05 | Page 34

34 CITY LIFE MAGAZINE Rebus sic stantibus, il luogo maggiormente deputato a ospitare gli impianti è naturalmente il Sahara, il deserto più grande del mondo con i suoi 10 milioni di kmq, a cui si aggiunge anche l’altro elemento estremamente vantaggioso offerto dalla vicinanza a uno dei più importanti mercati mondiali dell’energia, quello europeo. In linea di massima, l’intuizione del Desertec è valida ed estendibile in tutto il mondo, qualora si presentino le condizioni ambientali minime per progetti impiantistici di così grande potenza. Inoltre, la creazione di siti “preindustrializzati” volti alla generazione elettrica comporta, a cascata, tutta una serie di secondari effetti benefici, quali l’ottimizzazione degli spazi per altri insediamenti industriali – vantaggio usufruibile indirettamente su scala planetaria – abbondanza di energia per i desalinizzatori (con successivi impieghi idrici per l’agricoltura e le città), l’accelerazione dello sviluppo urbano nelle aree connotate da comunità isolate. Inizialmente, il Desertec venne sviluppato dalla Trans-Mediterranean Renewable Energy Cooperation (TREC) – una organizzazione volontaria fondata nel 2003 dal Club di Roma e dal National Energy Research Center Jordan, con esperti provenienti da Medio Oriente e Nord Africa. Nel 2009, la Fondazione no-profit Desertec ha fondato l’iniziativa industriale con sede a Monaco di Baviera “Dii Gmbh” insieme a un ampio gruppo di stakeholder e a partner dal mondo industriale e finanziario, al fine di favorire lo sviluppo di un’industria dell’energia delle rinnovabili nella regione Europa, Medio Oriente e Nord Africa (EUMENA). L’idea alla base del programma, suffragato anche dagli studi dell’Agenzia Spaziale Tedesca è che il sole del deserto potrebbe far fronte alla crescente domanda di energia della regione MENA (a più alta crescita demografica), aiutando nel contempo a fornire energia all’Europa e riducendo le emissioni di ossidi di carbonio in tutta l’area. Più ancora, il Dii GmbH ha pubblicato nel giugno 2012 un’ulteriore studio chiamato “Desert Power 20” da cui emerge che la regione del Medio Oriente e del Nord Africa sarebbero in grado di esportare la propria sovrapproduzione dando vita a un mercato dell’energia “verde” ed annessa industria impiantistica per un giro di affari superiore ai 60 miliardi di euro. Nel contempo, importando “energia del deserto”, l’Europa potrebbe risparmiare intorno a euro 30/MWh, cifra vicino alla metà del valore medio all’ingrosso dell’energia nel proprio mercato continentale, riuscendo nel contempo a importare fino al 20% del proprio fabbisogno energetico. Facile comprendere come il progetto abbia acceso ampi entusiasmi: è stato considerato una delle più belle “idee verdi” degli ultimi anni e sembrava che potesse risolvere uno dopo l’altro mediante una semplice dislocazione di impianti, una pluralità di problemi energetici, economici, politici. E così, allettati dal sogno delle “magnifiche sorti progressive” sono stati numerosissimi i grandi gruppi, specie europei, che si sono buttati nel progetto: Siemens, Deutsche Bank, Enel - Endesa, Vestas ecc. Se queste erano le promesse, certamente allettanti, a cinque anni dopo il suo lancio, il Desertec ha ottenuto risultati scarsi se non addirittura deludenti. Per alcuni aspetti, il progetto rappresenta un esempio da manuale sul declino e il fallimento di un programma industriale. Le preoccupanti incongruenze di cui è afflitto il Desertec son di due ordini: l’una di approccio teorico, ed è il gigantismo; l’altra è di tipo operativo ed è la politica. In ordine al primo punto, si è proceduto forse in modo troppo spavaldo, pensando di gestire agevolmente l’installazione e il funzionamento di numerosi impianti di potenza collocati a centinaia di chilometri di