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Lo scopo di questa mostra, che aggiorna la prima versione realizzata nel
1989, è di carattere informativo e didattico sul terrorismo politico che ha
connotato un ventennio della recente storia italiana. Per molti motivi il
fenomeno è stato quasi rimosso, sia a livello di dibattito politico che di
analisi storica e culturale, riscuotendo solo recentemente una certa
attualità editoriale. E questo nonostante che l’attacco dell’11 settembre
2001 avesse anche aperto il nuovo secolo, mostrando a tutto il mondo il
tragico impatto del terrorismo sulla storia.
La chiave di lettura degli ‘anni di piombo’ proposta dalla mostra, quella
della voce delle vittime, non deve essere considerata come una tardiva, e
comunque insufficiente, forma di compensazione verso coloro i quali per
lunghi decenni hanno patito oltre ad un generale silenzio, anche il
disinteresse dello Stato. Essa è piuttosto una documentata rassegna
dell’intolleranza politica, la rivisitazione della violenza politica in Italia:
sul percorso della mostra è quindi possibile articolare studi e riflessioni
didattiche per:
a) recuperare/rielaborare la memoria dei fatti, molti dei quali
rischiano l’oblio totale;
b) incrementare il livello di informazione/conoscenza dei giovani sul
fenomeno del terrorismo interno ed internazionale e le sue radici
storiche e culturali;
e, così, incoraggiare e accrescere nei giovani lo sviluppo di una coscienza
critica verso il fenomeno del terrorismo e le diverse forme di violenza in
politica.
LA MEMORIA DEI FATTI.
Oltre alle verità giudiziarie dei processi, di quanto approfondito
storicamente sui fatti più eclatanti, quali il rapimento di Aldo Moro, e al di
là di quanto non è stato possibile accertare, anche per via del segreto di
Stato, i dati storici che ancora mancano sono molti e spesso tra i più
basilari: primo tra tutti quello derivante dalla mancanza di elenchi
esaustivi e attendibili delle vittime morte e ferite.
Una delle primarie attività dell’Associazione italiana vittime del terrorismo
è proprio questa: cercare di accertare chi sono le vittime. Nomi, date,
fatti, biografie che in quegli anni terribili, quando gli attentati si
susseguivano quasi quotidianamente, sono stati lacunosamente registrati
sulle cronache di giornali magari per uno o pochissimi giorni, per poi
sparire nell’oblio.
Una delle attività didattiche che più aiuterebbero la ricostruzione della
memoria dei fatti, sarebbe proprio quella di coinvolgere gli studenti in
ricerche a partire dalle fonti giornalistiche sui fatti “minori”: quei morti e
quei feriti di cui si conoscono a malapena i nomi e nulla più, o quei fatti
“secondari” come attentati, ferimenti, aggressioni e rapimenti di cui in
molti casi non conosciamo dati e protagonisti attendibili.
Le scuole italiane, e i visitatori della mostra, se aiutassero l’associazione
AIVITER a ricostruire il quadro delle vittime del terrorismo in Italia,
restituendo loro dignità storica, oltre ad un utile lavoro di ricerca,
offrirebbero agli studenti un modo pratico di affrontare l’educazione
civica.
LE RADICI STORICHE E CULTURALI
Sull’origine storico-culturale del terrorismo, segnaliamo le plurime
suggestioni che si possono cogliere nell’evoluzione del terrorismo a
partire dalla sua prima affermazione nel corso della rivoluzione francese,
che può essere analizzato sotto le lenti di diverse discipline: dalla storia
delle dottrine politiche alla sociologia, dalla filosofia alla letteratura o
discusso attraverso forse la più suggestiva riflessione sulla violenza
politica che sia stata fino ad ora scritta: l’Uomo in rivolta di Albert Camus.
«Il terrorismo moderno viene definito e battezzato da Robespierre, che è
il primo a precisarne la funzione politica nell’accezione oggi ancora usata.
Nel suo intervento alla Convenzione dice: “La spinta maggiore al governo
popolare in tempo di guerra è data dalla virtù e dal terrore: il terrore
senza virtù è fatale, e la virtù senza terrore è inerme”. Dopo la
rivoluzione francese, tutto il terrorismo rivendicherà sempre sé stesso
come strumento di giustizia». (Lucia Annunziata, ne Il Piemonte e Torino
alla Prova del Terrorismo)
Una giustizia assoluta che pretende di saldare nella storia umana la virtù
pura e astratta all’agire reale e concreto dei cittadini. Anche Albert Camus
parte dal 1793, da Saint-Just che esclama: “O la virtù o il terrore”.
«Pretendendo di costruire la storia sopra un principio di purezza assoluta,
la rivoluzione francese apre i tempi moderni…». La sua riflessone si snoda
tra filosofia politica e letteratura fino agli Anni Cinquanta e indica la sola
virtù media umanamente perseguibile, tra l’assoluto virtuoso e il cinico
realismo, per cui, nell’agire politico «non importa la causa difesa, sarà
inevitabilmente disonorata dal cieco massacro di un innocente».
L’importante insegnamento del premio Nobel Camus è stato dimenticato
per decenni, al pari delle vittime, ma resta fermo e incancellabile nella
sua cocente attualità : «La misura c’insegna che occorre ad ogni morale
una parte di realismo: la virtù pura è omicida; e che occorre una parte di
morale ad ogni realismo: il cinismo è omicida». È la dismisura a
giustificare il terrore: infatti «il bene assoluto e il male assoluto, se vi si
mette quanto occorre di logica, esigono lo stesso furore».
Una riflessione da sottoporre ai giovani sul loro modo di stare nella
società, per cercare di prevenire il rischio che possano contrapporvisi in
maniera violenta, anziché esercitare il diritto alla politica nel più completo
rispetto della vita degli altri.
il curatore, Luca Guglielminetti
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Alleanza internazionale contro il terrorismo, presso “Le Mouvement pour la
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Network europeo delle vittime del terrorismo (in inglese, francese e spagnolo)
http://www.europeanvictims.net/