CAR Novembre 2025 | Page 41

Chi fa impresa lo sa benissimo: non mancano i libri, i corsi e i consulenti che spiegano, con dovizia di esempi, come gestire meglio un’ azienda. Ogni imprenditore, anche quello più distratto, conosce almeno in teoria le regole fondamentali per guidare la propria impresa con più lucidità e per costruire un rapporto sano con i propri collaboratori. Eppure, succede sempre la stessa cosa: tornano dal corso carichi come molle, con il quaderno pieno di appunti e buoni propositi, e nel giro di due giorni( quasi) tutto si azzera. L’ agenda si riempie di urgenze, le riunioni si trascinano come al solito, i collaboratori continuano a essere gestiti con più improvvisazione che metodo.

ALLORA? La domanda allora è inevitabile: perché gli imprenditori ad un certo punto“ dimenticano” quello che sanno di dover fare? Facciamo alcuni esempi delle azioni fondamentali che ogni imprenditore conosce, ma che troppo spesso restano solo buoni propositi:
• Definire obiettivi chiari e misurabili, invece di navigare a vista tra emergenze quotidiane.
• Controllare i numeri dell’ azienda, non solo il fatturato ma anche margini, flussi di cassa, indici di produttività.
• Delegare davvero, dando autonomia ai propri responsabili invece di accentrare ogni decisione.
• Ascoltare i collaboratori, creando
Cotza ha da poco pubblicato il libro“ Cosa NON farò da grande”, distribuito su Amazon momenti di confronto reale invece di ridursi a comunicazioni via email.
• Investire nella formazione continua, propria e del proprio personale, sia su aspetti tecnici che sul miglioramento organizzativo interno.
• Fare riunioni strutturate, con un ordine del giorno e accordi finali chiari, invece di perdere ore in chiacchiere senza alcun beneficio.
• Dedicarsi alla strategia, cioè ritagliarsi tempo per pensare al futuro dell’ impresa, invece di farsi inghiottire dal presente.
• Coltivare la cultura aziendale, trasmettendo valori e coerenza, non solo compiti e scadenze.
• Gestire i conflitti in modo adulto, invece di evitare lo scontro o, all’ opposto, esplodere in reazioni emotive.
NON È PIGRIZIA, È( PIÙ SPESSO) UN BLOCCO INTERIORE. La spiegazione più comoda sarebbe:“ Non lo fanno perché non hanno tempo di farle”. Ma sappiamo bene che è una scusa. Perché ciascuno sceglie a cosa dare priorità. E se queste attività passano sempre all’ ultimo posto, c’ è un motivo più profondo. Il vero nodo è un altro e va ricercato là dove in pochi si vogliono davvero addentrare: limiti caratteriali, blocchi emotivi e bias cognitivi.
• Paura del giudizio: cambiare significa mettere in discussione tutto quello che si è fatto fino a ieri, ovvero se stessi. E questo mette in crisi l’ ego.
• Bisogno di controllo: molti imprenditori confondono il controllo con la sicurezza. Non si fidano dei collaboratori, quindi trattengono tutto su di sé, condannandosi a una prigionia fatta di microdecisioni.
• Ferite passate: chi in passato è stato tradito da un socio, da un dipendente o da un fornitore, tende a irrigidirsi e a non aprirsi più. Una vecchia cicatrice continua a governare il presente.
• Bias cognitivi: la mente non è neutrale. Sottovalutiamo i rischi, sopravvalutiamo la nostra capacità di giudizio, ci raccontiamo storie che confermano ciò che già pensiamo. È l’ illusione del“ so già come va a finire”.
• Autoboicottaggio: paradossalmente, alcuni imprenditori hanno paura di stare bene. Sanno che crescere significa affrontare i propri lati ombra. Allora restano nel caos che conoscono, anche se li logora.
LA VERA SFIDA: GUARDARSI DENTRO Cambiare davvero il modo di fare impresa non significa collezionare tecniche, ma affrontare se stessi. Significa avere il coraggio di mettere in discussione il proprio carattere, le proprie rigidità, i propri schemi mentali. Significa ammettere che la crescita dell’ azienda è limitata non dalla mancanza di strumenti, ma dalle paure e dalle incoerenze di chi la guida. Non a caso, molti imprenditori raccontano di aver fatto passi avanti decisivi non dopo l’ ennesimo corso di management, ma dopo aver lavorato su sé stessi, per esempio partecipando alla nostra Accademia di Consapevolezza. In fondo, l’ azienda è lo specchio del suo imprenditore. Se dentro c’ è confusione, paura e rabbia, inevitabilmente lo stesso clima si riflette nei numeri, nei collaboratori, nei clienti. La domanda allora non è più“ Cosa dovrei fare?” ma“ Chi devo diventare per riuscire a farlo davvero?”.
41