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INTERROGATIVI CONTROCORRENTE È l’epidemia della modernità? Gianfranco de Turris Le “magnifiche sorti e progressive” sono state messe in dubbio, diciamo pure in crisi, da qualcosa d’invisibile, da un virus dal suggestivo aspetto e dal nobile nome, da una variante particolarmente letale di quella che è in fondo una “banale influenza”, ma dal comportamento talmente imprevedibile da far pensare a qualche scienziato autorevolissimo, come il premio Nobel 2008 per la medicina, Luc Montagnier, biologo e virologo, che sia stato “manipolato in laboratorio” a Wuhan. Non era mai successo prima. Infatti, una epidemia simile, ma non uguale, si diffusa esattamente cento anni fa, nel biennio 1918-1920, in Europa dove provocò decine di milioni di morti e venne chiamata “influenza spagnola” (ma solo perché fu per prima la stampa spagnola a dare notizie in tempo di guerra di un morbo portato probabilmente dai soldati americani intervenuti in Europa). Le foto in La peste del 1630 a Milano bianco e nero di allora ripubblicate per l’occasione sono un effettivo parallelo con le foto a colori di oggi, a parte l’abbigliamento e i mezzi di trasporto. Ma una differenza fondamentale c’è ed è duplice. La percezione dell’epidemia fu diversa, l’impatto psicologico minore dato che le informazioni e i mass media che le diffondevano erano pochissimi rispetto a quelli di oggi, tanto è vero che ancora non si sanno esattamente quanti morti la Spagnola provocò: autorevoli fonti scientifiche, infatti, variano notevolmente, chi dice 25 e chi 50 milioni di morti, e non è una piccola differenza. Dall’altro perché la mentalità odierna è differente da quella di allora. Oggi, dopo appunto un secolo, la scienza e la tecnica in generale, hanno fatto enormi progressi, la medicina è stata al passo e di meraviglie ce ne ha mostrate moltissime: si riescono a curare malattie difficili e rare, si effettuano operazioni chirurgiche incredibili e trapianti anche multipli, i giornali sono pieni di i “miracoli della scienza” che salvano vite umane. Eppure, tutta questa sicurezza è crollata di fronte al “nuovo coronavirus” battezzato dall’OMS Covid-19. La scienza medica si è trovata impreparata e impotente non sapendo cosa fare, non esistendo un farmaco specifico per curarlo e si è ricorsi a quelli in precedenza utilizzati contro l’HIV, l’Ebola, la SARS, ma si è andati per tentativi, oppure si sono provati medicinali per altre malattie virali più comuni. E tutto in attesa di un vero vaccino atteso per l’estate o l’autunno, ma che, se il virus dovesse mutare, potrebbe essere inutile. La nostra società così sicura di sé e della sua scienza è stata messa in ginocchio. E si è andati allo sbaraglio contro un nemico sconosciuto e soprattutto sottovalutato, altrimenti non si spiegherebbero i circa 200 tra medici e infermieri morti in Italia da marzo a maggio, semplicemente perché non avevano protezioni adeguate e si sono sacrificati lo stesso. Eroi certo, ma nessuno, ahimè, denuncia le responsabilità di coloro che li hanno mandati allo sbaraglio senza le minime precauzioni. E nessuno osa creare una commissione d’inchiesta per capire come mai in un Paese moderno per ben tre mesi non si sia riusciti a trovare, fornire, realizzare cose “semplici” come mascherine e guanti di gomma… Per non parlare della totale scomparsa per la gente comune di disinfettanti, amuchina e alcool. Incredibile ma vero. Ma in Italia la colpa non è mai di nessuno. In Italia non ci sono mai responsabili di nulla. Insomma, è stato un po’ come la pesta di cinquecento anni fa, quella che rese immortale Alessandro Manzoni nei Promessi sposi: si moriva nei lazzaretti e non c’erano rimedi, alcuni sopravvivevano, altri erano immuni, senza un perché. Come oggi quando ci si era abituati a sentire ogni giorno annunciare dalla Protezione Civile centinaia di decessi e la cosa non ci faceva alla fune poi tanta impressione. E siamo arrivati a quota 34 mila. Il Covid-19 è un po’ la peste del XXI secolo, anche se non con immagini così impressionanti come quelle che illustravano il libro di Manzoni, anche se adeguate ai tempi: non ci sono stati i carri dei monatti che raccoglievano i cadaveri lungo le strade e li buttavano uno sopra all’altro, ma le file dei camion militari che nottetempo partivano da Bergamo per trasportare centinaia di bare nei cimiteri di altre città. E gli ammalati che sono morti negli ospedali da soli, senza il conforto dei parenti perché era proibito loro di avvici- 44 | la PROPRIETÀ edilizia • Luglio 2020