Joseph E. Stiglitz:
un americano
e l’economia europea
Piero dal Colle
Non sono solo gli economisti “sovranisti” a
criticare la politica economica dell’eurozona.
C’è un premio Nobel che insegna alla
Graduate School of Business della Columbia
University che da tempo scrive libri per criticare
le istituzioni economiche di Bruxelles.
Già nel 2016 Joseph E. Stiglitz aveva pubblicato
un saggio con un titolo quanto mai esplicito “L’Euro,
come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa”.
Dove, pur riconoscendo che “il progetto
dell’Europa unita e di una ulteriore integrazione dei
paesi del continente rappresenta l’evento politico più
importante degli ultimi sessanta anni”, tuttavia “il sistema
dell’euro non funziona e il prezzo da pagare se
non vi si porrà rimedio, sarà altissimo”. “L’Europa”,
precisava “ha commesso un semplice, comprensibile
errore: ha pensato che il modo migliore per arrivare
ad un continente integrato passasse attraverso l’unione
monetaria e la condivisione di una moneta unica”.
In sostanza: “quello che doveva essere il mezzo
è diventato un fine, mettendone così in discussione
gli obiettivi principali”. Prevedeva di conseguenza la
necessità di un cambiamento: “L’eurozona e l’euro –
sia la struttura sia le sue politiche – dovranno essere
riformati in profondità per poter salvare il progetto
europeo”. Peraltro, non riteneva la cosa impossibile:
“E salvarlo si può. L’euro è una costruzione dell’uomo.
I suoi contorni non sono il risultato di leggi di
natura ineluttabili. Gli accordi monetari europei si
possono rimodulare, se necessario; si potrà addirittura
lasciar perdere l’euro”.
Quest’anno il professore americano ha fatto un
passo in più, insieme ad un nucleo di esperti ed esponenti
di istituzioni di studio, ha redatto un rapporto
che ha intitolato “Riscrivere l’economia europea”,
che, in sostanza, suggerisce nuove “regole per il futuro
dell’Unione”, edito, in Italia, da Il Saggiatore.
“Le crisi odierne dell’Europa” scrive “ci chiedono
interventi audaci e un impegno a rinnovare la
promessa da cui nacque, sessant’anni fa, il progetto
europeo”. Il premio Nobel dell’economia suggerisce
di mutare il paradigma sul quale è stata realizzata
la costruzione europea. “Il coraggio di riscrivere le
regole e riformare le strutture che non funzionano”
deve orientarci ad essere chiari sulle “cose da fare”:
“Il primo passo in questo sforzo dovrebbe essere un
impegno a conseguire la piena occupazione in tutta
Europa, attraverso nuove strategie macroeconomiche”,
cioè “rafforzare la domanda aggregata in misura
sufficiente [come] condizione necessaria di una
prosperità condivisa”. A tal fine Stiglitz indica l’importante
“effetto sulla crescita di investimenti pubblici
adatti a stimolare a breve termine l’economia e
ad accrescere a lungo termine la produttività”. “Un
aumento degli investimenti pubblici può ‘attirare’ investimenti
privati”, mentre non deve essere trascurato
“un miglioramento dei sistemi di previdenza sociale
[che] può dare agli individui un senso di maggiore sicurezza,
consentendo loro di spendere di più anche se
l’economia frena”. L’economista americano è molto
critico sul Patto di stabilità, rispetto al quale propone
un’”eccezione”. Ora gli ultimi accadimenti gli hanno
dato ragione con la sua sospensione di fronte alle gravi
ripercussioni sul piano economica del Covid-19,
che hanno sollecitato un incremento del debito fuori
dalle regole a suo tempo imposte.
Stiglitz, peraltro, introduce l’idea di una riconsiderazione
della questione del debito. “Ogni Paese
riconosce sul proprio territorio il principio per cui,
quando un debitore non riesce a rispettare gli impegni
assunti, si rende necessaria una ristrutturazione
del debito”, dal che ne derivare il concetto che “l’Unione
europea è tenuta a favorire questo genere di
ristrutturazione, allo scopo di arrivare a una soluzione
più equilibrata e umana”, aggiungendo che essa
dovrebbe “riconoscere che un indebitamento eccessivo
è un problema d’irresponsabilità non solo del
debitore, ma anche del finanziatore”.
A questo punto l’analisi passa a considerare la
politica monetaria sottolineando i “difetti della governance
della Bce”. Critica l’”assunto” secondo il
quale “una banca centrale debba essere ‘indipendente’,
nel senso di ‘affrancata dal controllo politico’”.
Occorre mettere in discussione anche “il quadro di
la PROPRIETÀ edilizia • Luglio 2020 | 11