ArchitettiRimini (2005/2009) N. 1 - colonie - 2005
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Notiziario bimestrale dell'Ordine A.P.P.C. della provincia di Rimini
colonie
NUOVA SERIE
gennaio / febbraio 2005
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valida dal 25/02/2005 - CONTIENE I.R.
architettirimini
D
opo anni di dibattito, nel corso dei quali gli strumenti di
pianificazione regionali (Piano Territoriale Paesistico Regionale),
provinciali (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) e
comunale (i PRG dei Comuni) hanno previsto, prescritto,
normato a riguardo del recupero e del riuso del patrimonio
delle ex colonie costiere e dei varchi a mare che in parte ancora
le caratterizzano, stiamo per affrontare, concretamente, la fase
operativa.
Buona parte di quel patrimonio, che era di proprietà pubblica,
è stato venduto (o lo sta per essere) al privato, e le nuove
proprietà sono in procinto di intervenire, con ottica
imprenditoriale, per rinnovare e fare fruttare il loro investimento.
Città costiera e patrimonio architettonico:
condivisione e qualità
Ho già avuto occasione di affermare che la città, in quanto
costruita dall’uomo, è per sua natura una risorsa rinnovabile;
questa risorsa ha a sua volta utilizzato, per nascere, per
crescere e per consolidarsi, una primaria risorsa non rinnovabile,
il suolo.
In una logica generale di sviluppo sostenibile, ed in
particolare nella nostra realtà provinciale in cui la quantità di
suolo libero da costruzioni è così limitata, la città è un bene
collettivo sul quale intervenire a patto di migliorarlo, nella sua
funzionalità, nella sua morfologia, nella sua percezione visiva,
per il supporto che può fornire in termini di usi alla sua utenza,
per le possibilità di efficienza ed efficacia economica, per
l’impatto che ha sugli altri sistemi ecologico-ambientali (acqua,
aria, energia) e sulla salute e qualità della vita dei
cittadini. In poche parole siccome non è
più ragionevole continuare ad
ampliare i nostri centri
urbani a scapito del
territorio libero,
dobbiamo
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Sommario
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concentrarci su quello che abbiamo già costruito, e dobbiamo
essere in grado di trasformarlo in modo da lasciare a chi verrà
dopo di noi una città, un mondo migliore, più sano, più vivibile,
più bello, più efficiente.
Se mi permettete un commento non formale, in una logica
di trasformazione e ritrasformazione dell’esistente, i nuovi
edifici che realizziamo, oltre ad avere le alte qualità formali
che sono richieste ad ogni singola architettura che contribuisce
a costituire il nostro paesaggio urbano, il nostro ambiente
collettivo, devono riuscire ad essere i più flessibili possibile, in
quanto devono potersi adattare, nel futuro, a funzioni anche
molto diverse da quelle originarie, senza comprometterne le
M. Zaoli su trasformazione e salvaguardia
C. Fabbri, G. Giovagnoli, G. Mulazzani su colonie e città costiera
M. Gaudenzi propone una strategia di intervento
qualità architettoniche. Tale considerazione vale ancor più per
gli edifici esistenti che riutilizziamo e trasformiamo, per i quali
le fatiche del progettista, soprattutto se interviene su architetture
di consolidato pregio, sono doppie, perché alla difficoltà di
pensare al futuro si somma quella di dover interpretare la storia
e salvaguardare il patrimonio culturale.
Indubbiamente il capitale delle colonie marine e delle aree
limitrofe rappresenta da questo punto di vista un sistema da
salvaguardare e da utilizzare al meglio.
Su questo numero della rivista dell’Ordine hanno spazio
diverse opinioni, di chi da almeno due decenni, fin dall’inizio
del processo di censimento e di catalogazione, ha lavorato ed
approfondito la storia, le vicende, le qualità intrinseche, i valori
storico-testimoniali di questo ingente patrimonio, e di chi sta
affrontando da progettista il tema del recupero e del riuso di
alcune ex-colonie.
In particolare la rivista prende in considerazione le cinque
colonie per le quali ci si avvicina all’intervento di riuso, con una
scheda ognuna, che ne richiama l’anno di costruzione, il
progettista, i dati principali.
Dal punto di vista del valore architettonico ci troviamo di
fronte ad edifici che per dimensione, localizzazione, qualità
rivestono un indubbio valore; dal punto di vista urbanistico il
recupero edilizio potrebbe essere un’occasione fondamentale,
nei diversi casi, per azioni di riassetto territoriale ed urbano.
Partendo da Nord:
la Colonia Murri potrebbe essere un
importante volano per la qualificazione del tessuto
urbano di Bellariva, ed a partire dal suo recupero
favorire un’ampia attività di ristrutturazione
urbanistica ed edilizia di una parte della
metropoli balneare più deprivata di servizi
e di qualità urbana;
il recupero delle due
importanti colonie Bolognese e
Novarese, e delle aree libere che
le circondano, dal mare alla
ferrovia, alla statale adriatica,
ed oltre fino al sistema
fluviale del Marano
costituiscono una grande
opportunità urbanistica,
paesaggistica ed
ambientale, questo
è infatti uno dei
pochissimi varchi
liberi che
s o l c a n o
trasversalmente la conurbazione costiera (che come noto è
strutturata per fasce monotematiche parallele alla costa) e
attraverso i quali si può riuscire a mettere in collegamento
fisicamente e quindi funzionalmente e paesaggisticamente la
costa con l’entroterra; tale ambito complesso è una delle porte
del territorio riminese, il Piano Territoriale Paesistico Regionale
ed il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale lo
segnalano, ma nei fatti della pianificazione urbanistica e della
sua attuazione non si è finora riusciti a declinare fino in fondo
tale opportunità;
- anche la Colonia Reggiana, al di là del suo indubbio
valore architettonico, per il suo essere parte del fronte a mare
e per la sua posizione in fregio al fiume Marano, potrebbe
essere messa a sistema nell’ambito di cui si parlava;
- la colonia Enel, più recente ma comunque molto
interessante dal punto di vista architettonico, è testata a mare
di un vasto ambito inedificato fino alla linea ferroviaria ed oltre,
fino alla statale Adriatica, e rappresenta una dotazione territoriale
fondamentale.
Come potrete leggere negli articoli che accompagnano e
commentano le schede, le opinioni a confronto sono diverse,
per approccio e per attese nel risultato.
Lascio a voi lettori le valutazioni che vorrete fare sui contenuti
di questo primo numero della rivista degli architetti e soprattutto
sulle prospettive di recupero e di trasformazione delle Colonie
Marine riminesi, con un’annotazione: se c’è un elemento che
indubbiamente non può che unire le diverse impostazioni
sull’intervento in questi ambiti territoriali e su questi edifici è
che siamo di fronte ad una delle dotazioni del territorio più
importanti che ci rimangono e che quindi dobbiamo utilizzare
al meglio le opportunità che ci si pongono innanzi, valutando
tutte le alternative possibili.
Per lo stesso motivo ritengo che il confronto, il dibattito, la
partecipazione, siano fondamentali per compiere la scelta
migliore su tale patrimonio che in fondo ha una grande utilità
collettiva.
Consentitemi ancora: all'interno delle iniziative per il
decennale dell'Ordine vogliamo procedere al censimento delle
opere contemporanee, al duplice fine di conoscere il nostro
patrimonio architettonico e di salvaguardare le architetture di
pregio di cui collettivamente disponiamo. La nostra iniziativa
è in linea con il nuovo "Codice dei beni culturali e del paesaggio",
che estende le categorie di tutela alle opere dell'architettura
contemporanea di particolare valore artistico.
E' certamente anche a partire dal patrimonio delle colonie,
quelle costruite nel dopoguerra, che procederemo a questa
attività di catalogazione che impegnerà, voglio pensare, tutti
gli iscritti e le commissioni del nostro Ordine.
Marco Zaoli
le schede di C. Fabbri e N. Pivi
Enel
PARTNER SENIOR
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Reggiana
Novarese
Bolognese
Murri
M. Fabbri sui partner del decennale
Le colonie e la città costiera
“architetture del passato” che ha ormai un capitolo individuato
nella questione delle trasformazioni delle architetture moderne.
Ma rispetto a quanto codificato nel concetto purista della
forma-funzione e dibattuto nel riuso del contenitore, la
complessità del progetto pone una domanda: quali criteri e
metodologie possibili per salvaguardare o ricreare una uguale
armonia fra esterno e interno? Quali soluzioni tecnologiche e
funzionali si possono utilizzare nel rispetto dell’organismo
architettonico?
Ovvero, l’intenzione non dovrebbe essere quella di andare
a cercare finti equilibri che potrebbero sembrare consolatori,
quanto quella di rintracciare dei nuovi criteri di valutazione,
legati al processo edilizio, quali gli studi di compatibilità
tipologica, di innovazione tecnologica e di efficienza energetica
e di qualità ambientale.
Pensiamo al complesso “Le Navi” di Cattolica, realizzato
nel 1934 per i “figli degli Italiani all’estero” dall’architetto romano
Busiri Vici in forma di architettura marina intesa come flotta in
procinto di partire dall’arenile che, prima della riconversione
in parco tematico, colpiva per il forte impatto espressivo degli
interni, le studiate relazioni tra interno ed esterno e l’accorto
disegno delle aperture e dell’illuminazione. Il progetto di
riconversione dei fabbricati, nonostante abbia ottenuto
l’autorizzazione della Soprintendenza di Ravenna, se all’esterno
garantisce la conservazione dei caratteri formali e volumetrici
originari dell’opera di Busiri Vici, all’interno nega qualsiasi
possibilità di fruizione e di lettura della architettura degli anni
’30. L’intervento di recupero e riuso di una fra le più significative
architetture moderne presenti sulla riviera romagnola (ma non
solo), trasforma pesantemente l’“organismo architettonico”
cancellando irrimediabilmente le sue relazioni formali e spaziali
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ricettive
per il turismo
giovanile, polo per
l’istruzione universitaria, le
cui attività di didattica, ricerca e
formazione rappresenterebbero un
supporto imprescindibile per un progetto di rilancio
economico e culturale dell'area riminese.
Sembra opportuno segnalare due momenti importanti che
hanno segnato il dibattito su questi temi in questi ultimi anni.
Il primo è rappresentato dalla “Carta di Rimini per il turismo
sostenibile” approvata nel giugno 2001, che riporta importanti
linee di indirizzo e possibili scenari quali la costruzione di
partenariati attivi per la gestione integrata delle aree costiere,
la promozione e il rafforzamento della progettazione e della
pianificazione integrata e sostenibile, l’attuazione di azioni
specifiche centrate sulla mobilità, la promozione di alternative
sostenibili per il turismo stagionale di massa, la gestione
ambientale e sociale delle destinazioni e infrastrutture turistiche,
il rafforzamento delle attività finalizzate alla sensibilizzazione
delle imprese turistiche e dei turisti. In seguito la Provincia di
Rimini, nell’ambito di Agenda 21, ha promosso, nel maggio
2003, il primo Rapporto sulla capacità di carico del territorio
riminese.
La seconda rappresentata dal GIZC (Programma di
Gestione Integrata della Zona Costiera) della Regione EmiliaRomagna che affronta in modo integrato le complesse
problematiche delle aree costiere, quali ad esempio gli aspetti
insediativi, gli aspetti economici (turismo, portualità, pesca,
ecc), le forme d’uso del suolo, la mobilità, l’uso delle risorse,
le dinamiche costiere (erosione e trasporto solido fluviale),
l’eutrofizzazione e la qualità delle acque.
Gli ultimi progetti relativi alle colonie marine, in fase di
discussione (vedi schede), soprattutto quelli che prevedono
l’uso alberghiero non si inseriscono in tali direttive. Sono
proposte che risultano estranee a forme decisionali partecipate,
né promuovono (almeno per le colonie di proprietà pubblica)
concorsi di idee e d i progettazione a sostegno di una più alta
qualità nella progettazione. Sembrano elaborazioni già superate
e poco innovative se riferite al dibattito di questi giorni in cui
sono sempre più condivisi obiettivi di sostenibilità quali il
ridimensionamento delle previsioni urbanistiche, la riconversione
e la demolizione degli alberghi fuori mercato, l’alleggerimento
edilizio a favore di servizi e verde. Prima ancora degli alberghi
o di altre strutture edilizie le colonie marine, prima elementi
significativi nella nascita e sviluppo turistico della marina poi
presenze del tutto marginali e passive negli anni ‘60/’90
(fabbricati da demolire o inutilizzati in attesa di funzioni
economicamente redditizie), oggi devono essere considerate
parti importanti in una prospettiva di rilancio del modello turistico
romagnolo, in cui l’innovazione è costituita dal perseguimento
della sostenibilità, intesa come uso attento delle risorse
disponibili, controllo della capacità di carico del territorio,
riequilibrio delle condizioni economico-sociali.
Claudio Fabbri
Gianfranco Giovagnoli
Giovanna Mulazzani
[1] Nella Variante del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di
Rimini del 2001 la normativa relativa alle colonie d’interesse storicotestimoniale di complessivo pregio architettonico (tipo A1) è stata modificata,
prescrivendo, quali modalità d’intervento, una generica coerenza “ai criteri
e i metodi del restauro finalizzati a mantenere l’integrità materiale, ad
assicurare la tutela e conservazione dei valori culturali e la complessiva
funzionalità dell’edificio, nonché a garantire il suo miglioramento strutturale
in riferimento alle norme sismiche”.
[2] Una delle ipotesi perseguite da diversi progettisti, nel passato e nel
presente, è quella che nel caso di manufatti con tipologia a corti aperte
(Murri e Bolognese ad esempio) la previsione di nuove volumetrie possa
essere attuata mediante la saturazione edilizia delle medesime corti, con
alterazione irreversibile della originaria tipologia, dei prospetti e delle relazioni
con gli spazi esterni.
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S
empre più
frequentemente, seppur con un
ritardo endemico che accomuna tutti gli
interventi italiani, le colonie stanno diventando
argomento di progetto per amministrazioni locali, imprenditori
e progettisti.
Come sempre quando si tratta di progetto su materiale
esistente si innesca un dibattito su ciò che è corretto conservare
e su ciò che è conveniente trasformare anche con la totale
sostituzione, e sugli usi che possono ragionevolmente essere
proposti.
Come sempre le posizioni si articolano in modo diverso a
seconda delle provenienze culturali, di quelle di differenti
portatori di interesse, di quelle politiche e di quelle puramente
gratuite.
“facciamo piazza pulita” della maggioranza di queste
costruzioni molto spesso brutte e ormai alla fine della
loro vita e funzione: salviamo solo quelle che sono esempio
di ottimo progetto, di intenso, originale e curioso rapporto con
il luogo, liberiamo gli spazi che occupano accorpandone i
volumi o spostandoli in alcuni casi su altri terreni e luoghi,
cogliamo l’occasione per sviluppare una attività efficace e
coraggiosa che riesca a coniugare il valore immobiliare con
quello dell’ambiente e con quello della grande impresa turistica
che è patrimonio economico e culturale della Romagna.
Classificazione e normativa, come sempre opinabili e
perfettibili, si misurano ora con le reali istanze di intervento
generate finalmente dal fatto che il mercato immobiliare in
questo specifico settore si è attivato ed ha portato operatori
privati locali e non ad essere protagonisti della trasformazione
e del riutilizzo delle strutture.
L’attivazione di queste istanze come sempre mette in luce
una serie di contraddizioni e trova frequentemente impreparate
le amministrazioni locali sottoposte a richieste di cambiamento
della destinazione d’uso, o di elusione più o meno velata delle
norme ecc.
Gli interventi oltre a questo innescano anche discussioni
o movimenti di opinione soprattutto quando le trasformazioni
proposte sono di tipo radicale anche quando le norme lo
consentono.
Il caso della colonia Enel di Riccione
di cui ci siamo occupati come progettisti,
ne è un esempio: si può secondo le
norme procedere ad una sua radicale
ristrutturazione, allo stesso tempo il
nostro stesso Ordine degli Architetti ne
mette in discussione la possibilità, cosa
del tutto legittima in termini personali
di cittadino od architetto ma sicuramente “discutibile” come
posizione di un ordine professionale nel momento in cui la
cosa non sia valutata e condivisa da una assemblea visto che
di autorità e norme regolatorie nel settore che ci riguarda ce
ne sono già a sufficienza.
Questo esempio per sottolineare il fatto che la posizione
di noi architetti dovrebbe essere, nell’approccio alle
problematiche suddette, di tipo “scientifico”.
Se siamo in grado di sostenere che un certo immobile va
conservato ad esempio dobbiamo sicuramente essere in grado
di dire che cosa ne facciamo, come lo utilizziamo all’interno di
una compatibilità tecnico-economica che sicuramente ci
compete.
Dobbiamo leggerlo nella sua attualità e conoscere il suo
Catalogazione del moderno,
una strategia di intervento
SEGUE A PAG. 7
che
identificavano
una fortissima
connotazione
progettuale e
compositiva.
Insieme ad
azioni che tutelino i
caratteri architettonici
risulta altresì importante
individuare una continuità
progettuale riferita alle
componenti relative agli
aspetti tecnologici e climatici
che si ritrovano in questi edifici
secondo fini energetici, ecologici
ed ambientali.
Infatti questi edifici rappresentano
una grande opportunità per sperimentare
interventi che producano basso consumo
energetico, ridotte emissioni inquinanti, corretto
utilizzo delle acque e contenimento nei rifiuti,
relativamente al processo edilizio e al contesto più
generale dell’area.
In questa fase, in considerazione soprattutto degli
esempi negativi di recupero e riuso delle colonie, prima
di procedere con la predisposizione di nuovi progetti, si
dovranno ridefinir e le azioni, le norme e i criteri operativi,
contenuti negli strumenti di pianificazione territoriale e
urbanistica, che salvaguardino i caratteri tipologici originari di
tali architetture, le corrispondenze tra interno ed esterno, la
tutela dei partiti decorativi e formali.
Le colonie marine non costituiscono solo un patrimonio
edilizio da recuperare per le ragioni sin qui evidenziate in un
panorama costiero di bassa qualità
edilizia e di ridotto valore
architettonico, ma si distinguono,
con i loro ambiti di pertinenza,
come gli unici punti di discontinuità,
di interruzione della conurbazione turistico-costiera,
contraddistinta dalla moltiplicazione all’infinito dell’unità edilizioalberghiera con servizi di base poco qualificati e con una ormai
superata e insufficiente infrastrutturazione.
Ampie aree di pertinenza, importanti presenze vegetazionali,
residuali elementi morfologici costieri, rappresentano oggi gli
unici ambiti di diversità e di valore ambientale lungo il massiccio
e pesante nastro di cemento senza qualità della costa riminese.
Se la città costiera evidenzia i suoi attuali limiti di sviluppo
economico, insediativo e ambientale, nelle criticità e nelle
problematiche connesse alla forte antropizzazione, all’eccessivo
consumo di suolo, alla rilevante congestione, alla elevata
stagionalizzazione, risulteranno inefficaci (incremento di
entropia) le proposte che ripropongono, su queste aree, modelli
(in crisi) incentrati ancora sulla crescita dell’unità alberghiere.
L’evoluzione del dibattito sulla riqualificazione urbana e
ambientale della costa, che in questi ultimi anni ha coinvolto
istituzioni, imprese, associazioni, università, cittadini, rileva la
necessità di nuovi approcci e nuovi strumenti analitici, volti a
risolvere i nodi critici attuali: la ricognizione, catalogazione e
la tutela delle colonie e delle relative aree di pertinenza così
come è avvenuto sino ad oggi non sono sufficienti; occorrono
strategie e strumenti di valorizzazione e di salvaguardia di
questo patrimonio edilizio e ambientale. Per tali ambiti risulta
necessario selezionare funzioni rare e innovative, in grado di
promuovere la diversificazione turistica, il miglioramento e
l'integrazione dell’offerta ricettiva, ma anche riqualificare la
città invernale, elevare la dotazione di attrezzature collettive
e la qualità urbana: luoghi, a scala regionale o subregionale,
di produzione, promozione e consumo di eventi culturali, centri
di servizio e di formazione dell'impresa turistica, iniziative
Le colonie e la città costiera SEGUE DA PAG. 6
PARTNER JUNIOR
L’
importanza delle colonie della costa romagnola è
costituita dal ruolo storico-insediativo e dalla qualità
architettonica e tipologica delle prime e, nel complesso, dal
valore strategico delle relative aree di pertinenza nei processi
di riconversione funzionale e di riqualificazione urbana e turistica
della costa.
Purtroppo oggi questo patrimonio versa in condizioni di
degrado, è oggetto di diversi interventi di abbattimento, di riusi
non oculati, raramente di recuperi qualificati.
Le colonie d’interesse storico-testimoniale costituiscono
punti di eccellenza in un panorama costiero caratterizzato da
scarsa qualità formale ed eccessiva ripetitività volumetrica,
documentando la pluralità dei linguaggi sia di derivazione
ecclettico-storicistica quali Sanatorio Comasco (1907), Murri
(1912), Patronato scolastico (1926), Forlivese (1930), Bolognese
(1934) di Rimini, F.Baracca (1926) e Veronese (anni ’20) di
Cesenatico, Centro Climatico Marino (anni ’30) di Cervia,
novecentista quali Ferrovieri (1930) di Igea Marina, Ferrarese
(1932) di Cattolica, Croce Rossa (1933) di Marina di Ravenna,
che delle avanguardie del novecento, esprimendo il rigore
funzionalista e igienista del razionalismo quali Novarese (1934)
di Rimini, Reggiana (1934) e Dalmine (1936) di Riccione, Agip
(1938) di Cesenatico, Montecatini e Varesina (1939) di Milano
Marittima, o le allegorie formalistiche del futurismo quali Le
Navi (1934) di Cattolica.
Anche l’ENPAS di Cesenatico e l’ENEL di Riccione, costruite
nei primi anni ’60, costituiscono architetture di qualità per la
complessità ed articolazione degli spazi interni ed esterni e
per le quali risulta necessario attivare specifiche forme di tutela
e valorizzazione.
A fronte di indirizzi e proposte anche articolate elaborate
in questi anni permane negli operatori turistici e immobiliari,
come nelle amministrazioni pubbliche, una scarsa attenzione
[1] alla qualità originaria del manufatto che anche oggi spesso
viene inteso come immobile da sostituire o in altre ipotesi
(anche del presente) viene letto come volumetria da associare
a nuove addizioni invasive [2], del tutto strumentalmente
connesse alle parti originarie, talvolta mortificate nei propri
caratteri architettonici, ad eccezione di alcuni casi di pregevoli
recuperi per usi scolastici (Patronato scolastico e Forlivese di
Rimini, F. Baracca di Cesenatico).
Non risulta ancora sviluppata sufficientemente un’analisi
attenta all’approfondimento dell’oggetto edilizio-architettonico
su cui si interviene al fine di rendere compatibili le nuove
esigenze funzionali con le peculiarità tipologiche e spaziali di
questi edifici.
Spesso la parola più usata nei dibattiti inerenti il riuso di
edifici storici tra cui le colonie, é “contenitore”: le colonie sono
percepite come contenitori da riutilizzare. Ma vi è una sorta di
insidia nell’uso del termine che giustifica, proprio per la sua
accezione, approcci che tendono a trascurare completamente
il rapporto esterno-interno di questi edifici. Il contenitore, inteso
come vuoto volume a disposizione dei progettisti
“permetterebbe” (ecco l’insidia) di vanificare quello che la
sperimentazione architettonica degli anni venti-trenta aveva
assunto come assioma principale e che costituisce la forza
architettonica di questi edifici: la grande armonia esistente tra
i volumi e la distribuzione funzionale dell’interno; la perfetta
corrispondenza tra le forme dell’esterno ed i caratteri dell’interno.
Allora sarebbe utile riflett ere su come impostare
progettualmente il riuso del contenitore.
Da questo punto di vista il tema, in apparenza semplice e
delimitato, è racchiuso in quello più ampio del riutilizzo delle
Il modo di affrontare il valore storico-testimoniale delle
colonie come patrimonio si misura con il valore immobiliare
delle stesse come patrimonio economico e in questo caso con
il valore dell’ambiente-territorio limitato anch’esso ed anch’esso
patrimonio.
Gli studi e le ricerche fatte in sede regionale, in quella della
sovrintendenza ed in vario modo in sede locale hanno portato
ad un certo stato la classificazione e la espressione normativa,
che indirizza il riutilizzo dei volumi delle colonie al turismo (sia
nella sua funzione di ricettività che nella funzione dei servizi),
alla loro conservazione o ristrutturazione più o meno radicale
od al loro integrale spostamento in altra sede.
Prese nel loro insieme e sicuramente nei punti di
aggregazione più intensa verrebbe da dire con buon senso
possibile futuro, e se pensiamo che debba essere una pura
testimonianza, tale testimonianza deve avere un valore tale
da essere in grado essa stessa di movimentare le risorse per
la sua conservazione.
Se noi per primi non crediamo in una trasformazione virtuosa
del territorio attraverso l’architettura e diventiamo conservatori
ad ogni costo possiamo sicuramente batterci con abilità anche
solo per conservare il pollaio del nonno senza offesa per il
nonno.
A mio avviso quindi dobbiamo noi per primi individuare le
destinazioni d’uso più adatte alla trasformazione degli immobili
mettendo in gioco la nostra competenza che non può
prescindere dalla conoscenza delle innumerevoli esperienze
che l’architettura moderna sta sperimentando in ogni parte del
mondo.
Competenza che, applicata con una finalità propositiva e
non dedicata alla speculazione immobiliare pura, consenta
agli operatori di scegliere nuove ipotesi di impiego, di
sperimentare forme di aggregazione finalizzate alla erogazione
di servizi complessi o di trasformare le tradizionali attività
turistiche che costituiscono il sistema produttivo delle nostre
aree, in accordo con le amministrazioni locali.
In questa ottica non è sicuramente nostro compito ergersi
a paladini per esempio del fatto che sui nostri territori si è
costruito troppo senza valutare che solo le nostre città storiche
sono un esempio di concentrazione ben maggiore di cui siamo
strenui difensori e senza conoscere il dato che una città come
Parigi ha una maggior concentrazione volumetrica di NewYork.
Dobbiamo sapere, proprio perché abbiamo studiato, che
la concentrazione e la complessità sono elementi che
l’architettura virtuosa trasforma in qualità.
Dobbiamo essere in grado di anticipare e seguire la
trasformazione che è alimento vitale e non organizzarci per
impedirla se non nei casi in cui si presentino situazioni di palese
inciviltà.
Marco Gaudenzi
L’IMMAGINE IN QUESTA PAGINA È UNA ELABORAZIONE GRAFICA DI UN
FOTOMONTAGGIO REALIZZATO DA C. FABBRI, G. GIOVAGNOLI E G. MULAZZANI