Antigone 15 Aprile 2015 | Page 4

TESTO

Ἀντιγόνη

καὶ φημὶ δρᾶσαι1 κοὐκ ἀπαρνοῦμαι τὸ μή.

Κρέων

σὺ μὲν κομίζοις ἂν2 σεαυτὸν ᾖ θέλεις

ἔξω βαρείας αἰτίας ἐλεύθερον:

σὺ δ᾽ εἰπέ μοι μὴ μῆκος, ἀλλὰ συντόμως,

ᾔδησθα κηρυχθέντα μὴ πράσσειν τάδε

Ἀντιγόνη

ᾔδη: τί δ᾽ οὐκ ἔμελλον; ἐμφανῆ γὰρ ἦν.

Κρέων

καὶ δῆτ᾽ ἐτόλμας τούσδ᾽ ὑπερβαίνειν νόμους;3

Ἀντιγόνη

οὐ γάρ τί μοι Ζεὺς ἦν ὁ κηρύξας4 τάδε,

οὐδ᾽ ἡ ξύνοικος τῶν κάτω θεῶν Δίκη

τοιούσδ᾽ ἐν νθρώποισιν ὥρισεν νόμους.5

οὐδὲ σθένειν τοσοῦτον ᾠόμην τὰ σὰ

κηρύγμαθ᾽, ὥστ᾽ ἄγραπτα κ σφαλῆ θεῶν

νόμιμα δύνασθαι θνητὸν ὄνθ᾽ ὑπερδραμεῖν.

οὐ γάρ τι νῦν γε κἀχθές, ἀλλ᾽ ἀεί ποτε

ζῇ6 ταῦτα, κοὐδεὶς οἶδεν ἐξ ὅτου ᾽φάνη.

τούτων ἐγὼ οὐκ ἔμελλον, νδρὸς οὐδενὸς

φρόνημα δείσασ᾽, ἐν θεοῖσι τὴν δίκην

δώσειν· θανουμένη γὰρ ἐξῄδη, τί δ᾽ οὔ;

κεἰ μὴ σὺ προὐκήρυξας. εἰ δὲ τοῦ χρόνου

πρόσθεν θανοῦμαι, κέρδος αὔτ᾽ ἐγὼ λέγω.

ὅστις γὰρ ἐν πολλοῖσιν ἐς ἐγὼ κακοῖς

ζῇ, πῶς ὅδ᾽ Οὐχὶ κατθανὼν κέρδος φέρει;

οὕτως ἔμοιγε τοῦδε τοῦ μόρου τυχεῖν

παρ᾽ οὐδὲν ἄλγος·  λλ᾽ ἄν, εἰ τὸν ἐξ ἐμῆς

μητρὸς θανόντ᾽ ἄθαπτον ἠνσχόμην νέκυν,

κείνοις ἂν ἤλγουν· τοῖσδε δ᾽ οὐκ  λγύνομαι.

σοὶ δ᾽ εἰ δοκῶ νῦν μῶρα δρῶσα τυγχάνειν,

σχεδόν τι μώρῳ μωρίαν ὀφλισκάνω.

La risposta di Antigone è esplicita e schietta. È giocata sulla ripresa sistematica degli stessi verbi dell'accusa pronunciata da Creonte (ai versi 442 e 443 si trovano infatti φὴς/φημὶ, δεδρακέναι/δρᾶσαι, καταρνεῖ/κοὐκ ἀπαρνοῦμαι). Tutto ciò toglie ogni possibilità di equivoco alla dichiarata rivendicazione della propria colpa.

In questo verso si può notare l'allitterazione della lettera μ, quasi ad indicare una sorta di balbettio o indecisione nel tono del tiranno adirato, non disposto ad ascoltare ragioni, ma soltanto parole brevi e sbrigative.

In questo verso si può notare l'allitterazione della dentale nella prima parte del verso, per segnare l'enfasi del sovrano verso chi ha osato infrangere il divieto.

La dea che viene qui nominata è la Δίκη del regno dei morti, personificazione divina della giustizia. In tal modo Antigone, richiamandosi all'olimpio Zeus (verso 450) e alla Giustizia degli inferi sembra abbracciare tutto il cosmo.

Da osservare è l'insistenza degli avverbi di tempo νῦν, κἀχθές e ἀεί. Inoltre ἀεί è rafforzato da ποτε e sembra voler proiettare all'infinito l'idea di un “sempre” continuo e costante.

Torna la parola giustizia, ma questa volta non è personificata. Qui va intesa come punizione, in quanto Δίκη è anche la divinità che presiede i tribunali, implacabile punitrice di delitti.

Si ritrova qui il verbo οἶδα, già usato anche nei suoi composti ai versi 447 e 448 (rispettivamente ᾔδησθα e ᾔδη). Questo verbo mette in risalto la piena consapevolezza di Antigone per ciò che sta facendo. Ai versi 447 e 448 la donna mostra di conoscere perfettamente il contenuto del bando di Creonte; in questo caso invece dice di aver saputo fin dall'inizio di dover morire.

Vengono qui riproposte le due possibili scelte che la donna avrebbe potuto fare. κείνοις è una forma poetica per ἐκεῖνος che indica lo scempio del cadavere insepolto di Polinice. Invece τοῖσδε allude alla morte minacciata da Creonte.

445

450

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470