100% Fitness Mag - Anno VIII Agosto 2014 | Page 56
#FILOSOFIA
Possiamo ancora
definirci Illuministi?
Domenico Casa
Consulente filosofico
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"L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato
di minorità che egli deve imputare a se stesso.
Minorità è l'incapacità di valersi del proprio
intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a
se stesso è questa minorità se la causa di esso
non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla
mancanza di decisione e del coraggio di far uso
del proprio intelletto senza essere guidati da
un altro... Senonché a questo Illuminismo non
occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva
di tutte le libertà, cioè quella di fare pubblico
uso della propria ragione in tutti i campi."
Questa definizione, ormai famosa, di Illuminismo,
contenuta nella "Risposta alla domanda: che
cos'è l'Illuminismo" di Kant, potrebbe costituire
già una prima risposta all'interrogativo. Ma, nella
sua immediatezza, sarebbe una risposta negativa:
"No, non possiamo più dirci Illuministi",
visto che gli uomini si sono abbarbicati a una
molteplicità di dipendenze che a tutto fanno
pensare, tranne che a un uomo maturo.
Un uomo cioè, che per agire, la mattina, appena
alzato, non deve scrutare gli astri per sapere
se il giorno sarà fausto o infausto; non affida
il suo agire alle previsioni del tempo le quali
hanno sostituito, insieme agli oroscopi, l'antica
cultura oracolare, che, tra l'altro, era anche molto
più interessante e poetica; non (di)pende dalla
televisione che lo ottenebra. Al tempo di Kant,
nella seconda metà del Settecento, vi erano
due poteri forti a tenere gli uomini in uno stato
di dipendenza: lo Stato e la Chiesa. E tuttavia, il
filosofo, non attribuisce ad essi la responsabilità
della loro minorità, se non in seconda istanza,
ovvero come conseguenza "dell'incapacità di
valersi del proprio intelletto senza la guida di
altro." Se quei poteri forti – e in genere tutti i
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poteri che hanno in pugno gli altri uomini (anche
le persone più vicine potrebbero rappresentarli) –
riescono a tenere gli esseri umani in catene per
far sì che, supponendo una loro inferiorità umana
ed esistenziale, si comportino come bambini da
tenere per mano e guidare, ciò dipende solo
dagli stessi uomini. I quali, talvolta o spesso,
trovano utile e comodo che altri si sostituiscano
ad essi e se ne occupino, proprio come i
bambini, i quali, non ancora abituati all'uso delle
gambe, amano lasciarsi trasportare dai genitori o
dai loro sostituti.
Ora, di gente non "cresciuta", il mondo è
pieno. Basta saper vedere, e l'immagine che
ne verrebbe fuori sarebbe di un fallimento
dell'Illuminismo. Tuttavia, parallelo a un mondo
di "minori", c'è anche la realtà, magari meno
evidente, di coloro i quali hanno trasformato la
loro vita in un cammino verso la libertà. Si trovano
in tutti i settori della società civile, nella politica
(sempre di meno), nel mondo delle scienze e
della cultura, nelle comunità religiose, benché,
durante gli anni trascorsi, da alcune di esse
si è tuonato contro l'Illuminismo ritenuto, per
antico, infondato e ingiustificato pregiudizio,
responsabile dei mali degli ultimi secoli.
E la ragione di tale avversione è presto detta.
Figlia dell'Illuminismo francese fu la rivoluzione
di un gruppo di uomini (una classe, la borghesia)
i quali, stanchi di essere sottomessi, sfruttati
e spolpati dallo Stato e dalla Chiesa, dissero
basta e decisero di uscire dallo stato di minorità,
affermando con forza quei principi su cui si sono
costituite le nostre comunità: libertà, fraternità,
uguaglianza.
Principi contro cui lottarono le forze coalizzate
del potere civile e religioso, ma che, se radicati
interiormente come radici profonde della propria
mente e della propria anima, non possono non
produrre alberi di libertà. Ossia quella maturità
e indipendenza dell'uomo per cui soltanto egli
può dirsi uomo e non "una tra le spighe del
grido collettivo che il sole indora", per dirla con
Edmond Jabès (Il libro delle interrogazioni), pronta
per essere passata per la falce.