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FILOSOFIA
È possibile un’etica
universale?
S
pesso si rimane disorientati di fronte ai comportamenti
umani, soprattutto si si tratta di quelli degli altri. Il fatto
che esulano dai nostri riferimenti culturali, induce non
solo a prenderne le distanze, ma a condannarli, come
se i nostri fossero validi e giusti e quelli degli altri sbagliati. In
realtà nel corso dei secoli, ogni comunità (intendo qui non solo
le piccole comunità, ma soprattutto i grandi gruppi umani che
talvolta hanno dato vita a civiltà straordinarie e irripetibili: si
pensi alla civiltà cinese, all’Egitto, alla Grecia), ha elaborato e fissato i propri codici morali da cui discendono o a cui si riferiscono
le azioni dei propri membri.
Come si può, ad esempio, immaginare che i comportamenti degli egiziani siano sbagliati e quelli dei greci giusti? Come è possibile, oggi, ritenere che i costumi degli africani, ad esempio, siano
manchevoli e scorretti e i nostri adeguati? Già nel VI secolo a.c.
Il sofista Protagora si poneva lo stesso interrogativo a proposito
dei comportamenti delle popolazioni contemporanee a quella
greca e di fronte ai quali i greci storcevano il naso, quando non
manifestavano aperta ripugnanza e ribrezzo. Noi occcidentali,
che dai greci abbiamo mosso i primi passi, con minore tolleranza
di quei nostri ascendenti, pare che siamo peggiorati di molto,
avendo (o presumendo di avere in tasca, pronte all’uso) tutte le
verità, da cui discendono i nostri comportamenti ritenuti sempre giusti e buoni. Nel secolo scorso, grandi antropologi come
Bronislaw Malinowki e Margaret Mead, e in seguito Claude
Levi-Strauss, hanno scoperto e studiato a fondo i comportamenti di antiche popolazioni contemporanee, cosiddette primitive,
solo perché distanti dalle nostre regioni tecnologiche con i loro
carichi positivi e negativi.
Ci sorprenderemmo ad esempio a sapere che in alcune popolazioni del secolo scorso ancora si era convinti che i maschi avvertissero le doglie del parto, o che in altre vi era la credenza che le
donne venssero rese gravide dagli antenati. Questi giungevano
sulle onde del mare e le bagnavano con il loro seme mentre restavano sdaraiate sulla spiaggia. Il rapporto sessuale era considerato del tutto irrilevante dal punto di vista procreativo. Sbagliati?
Risibili? Non è affatto così. I contenuti dell’agire, cioè i nostri
comportamneti che poggiano su stratificazioni comportamentali
secolari, non sono affatto rilevanti dal punto di vista etico.
Ciò che è importante (leggo da Kant) è il modo con cui agiamo,
la forma del nostro agire. In altre parole, la buona intenzione. Io
posso compiere azioni tra le più straordinarie, ma se la mia intenzione, il mio cuore è malvagio, tutte le azioni ne saranno inquinate. Kant dice chiaramente che non importante quello che
faccio, ma il modo con cui lo faccio. Non è rilevante il fatto che
gli arabi non consumino carne suina e noi sì. Quello che rende
positivo dal punto di vista etico le azioni degli uni e degli altri è
l’intenzione che regge l’azione. La buona intenzione degli altri,
è ovvio, nessuno può misurarla e giudicarla.
Domenico Casa
Consulente filosofico
Cell. 3393318463
[email protected]
“Ama et fac quod vis”, ama e fa ciò che vuoi. L’adagio di Agostino d’Ippona , tra le luci e le ombre del suo pensiero, potrebbe
costituire la sintesi del grande messaggio cristiano, che, purtroppo, lungo il corso di due millenni, insieme a tante altissime
esperienze e testimonianze positive (Francesco d’Assisi, Teresa
d’Avila, Giovanni XXIII, Teresa di Calcutta) ha subìto e ricambiato il contrario dell’amore. Ama e fa ciò che vuoi. L’amore è
l’unico contenuto universale del “tu devi” kantiano.
E, infatti come si fa a sapere se il mio comportamento è valido
dal punto di vista etico? Non potrei prendere lucciole per lanterne? Come faccio a rendermi conto se la mia intenzione è positiva, possiede cioè una valenza etica? Anche una guerra potrebbe
essere giustificata se fatta con “buone” intenzioni. Lo è stato
per secoli e lo è ancora. Anche uccidere una moglie infedele,
massacrare di botte un tossicodipendente, un randagio, uomo o
animale non fa differenza, potrebbero trovare, nelle menti contorte degli uomini, delle ragioni che legittimino atti scellerati
e sanguinari, come scellerati e violenti sono talvolta i linguaggi.
Non è così per Agostino. Non è così per Kant. Di fronte ad osservazioni del genere Agostino risponderebbe “L’amore è la misura
di tutte le azioni”. Kant risponderebbe senza esitazione. “Agisci
in modo da trattare l’umanità in te stesso come negli altri sempre come fine mai come mezzo”.
Coniugherei le due massime in questo modo: Tu devi agire e
l’unico modo per conoscere se la tua azione è positiva è l’amore
cioè la buona intenzione. Ama et fac quod vis. E’ l’amore a giustificare tutto. Esso è l’unico contenitore positivo delle nostre
azioni, la bussola su cui dovremmo orientarci per dare valore
ai nostri comportamenti e contrastare le correnti negative che
rischiano, in ogni tempo, di travolgerci.
Ciò non significa essere, con un termine che, a ragione, non riscuote molta simpatia, buonisti, e accettare tutto in nome dell’amore. Perché l’amore non è separabile dalla giustisia, si trova a
disagio con la falsità, l’ipocrisia, la menzogna e la violenza, in
qualsiasi modo essa si manifesti. L’amore è esigente, richiede
rigore, educazione, rispetto degli altri. Di qualunque altro. Di
ogni forma vivente.