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PSICOPEDAGOGISTA
fare il genitore significa insegnare alla
prole a rendersi indipendente, quindi abbandonarla. Negli esseri umani
l’istinto è il medesimo, funziona nel
senso dell’autonomia dell’individuo
ma, a quanto pare, l’esigenza nevrotica di possedere i figli, e di vivere la
propria vita attraverso loro, ha preso
il sopravvento, e il fine, che è quello
di accompagnare un figlio alla soglia
dell’indipendenza, è stato sovvertito
dal vizio di crescerlo per non staccarsene più.
Che cosa vuoi tu per i tuoi figli? Che
abbiano rispetto di sé, fiducia in se
stessi? Che siano esenti da nevrosi,
soddisfatti e lieti? Ma come garantirti
questo risultato?
Solo essendo tale tu stesso.
I figli apprendono il comportamento
dei loro modelli. Se trabocchi di senso
di colpa, se non ti sei realizzato nella
vita, e raccomandi i tuoi figli di non
diventare come te, vendi un prodotto
avariato. Se sei un modello di scarsa stima di sé, insegni ai tuoi figli
a considerarsi nello stesso modo.
Se poi, cosa anche più importante,
conferisci ai tuoi figli una maggiore
importanza che a te stesso, non li
aiuti, ma insegni loro a dare la precedenza agli altri e a rimanere indietro.
C’è una certa ironia in tutto questo,
no? La fiducia in se stessi, non la si
consegna in mano ai figli. Essi devono
acquisirla vedendola in noi. Solo se ti
tratti come la persona più importante,
e non ti sacrifichi sempre, insegnerai
ai tuoi figli a credere in loro stessi.
Cosa significa sacrificio? Far passare
gli altri avanti a te, non stimarti, cercare approvazione… Prodigarsi per
gli altri è ammirevole, ma se avviene
a spese di noi stessi, diamo l’esempio
di un comportamento che, dopo un
po’,genera collera, rancori e talvolta,
senso di rivendicazione.
I bambini cominciano molto presto
a voler fare certe cose da soli. “So
fare da solo!”, “Guardami mamma!
Lo faccio senza l’aiuto di nessuno!”
“Non mi imboccare, mangio da me”,
sono alcuni dei segnali che vengono
inviati, e sebbene nei primissimi anni
il grado di dipendenza è assai alto, si
osservano precisi sforzi in direzione
dell’autonomia. Durante la pubertà,
se da una parte vogliono essere con-
siderati grandi, dall’altra chiedono
l’aiuto e il sostegno di un genitore
sempre premuroso. Ma lentamente
si va sviluppando il concetto di sé e
d’un tratto ritroviamo l’adolescente
che non ci consente più di varcare la
soglia della sua autonomia e l’omertà
diventa logica quotidiana…Allora i
genitori appaiono seriamente preoccupati di un fenomeno in cui dovremmo leggere normalità e salute, ancor
più di quando erano piccoli e giù alla
spiaggia ci strillavano nelle orecchie:
“Papà non toccare! Faccio io il mio
castello di sabbia!!”
Il figlio, in genere, ha un forte desiderio di lasciare il nido, ma se i
lubrificanti della macchina familiare
sono stati la possessività e lo spirito di
sacrificio, l’atto naturale di partirsene
provoca una crisi. Se il senso di colpa
e il timore di aver recato un dispiacere offuscano la partenza dal nido, essi
perdurano tutta la vita, fino al punto,
a volte, che il rapporto marito-moglie
duplica quello di genitore-figlia, anziché essere quello di due persone che
vi partecipano su una base di parità.
La famiglia costituisce dunque un
nucleo importante nel processo della crescita, ma non dovrebbe mai
diventare veicolo di senso di colpa e
di nevrosi quando i suoi componenti
vanno verso l’indipendenza emozionale. Se con decisione conduci la
tua battaglia per l’indipendenza dai
genitori, puoi trasformare in tenere
esperienze tutti i tuoi ritorni alla casa
paterna. E se ai tuoi figli sei modello
di fierezza e consapevolezza del tuo
valore, essi, a loro volta, lasceranno
il nido senza provocare tensioni o
sconvolgimenti.
Una madre non è una
persona alla quale
appoggiarsi, ma una
persona che mette in
condizione di non aver
bisogno di appoggiarsi.
(B.Pane)
SIAMO TRATTATI COME
ABBIAMO INSEGNATO
A TRATTARCI
La dipe