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neonato durante il bagnetto, giudica
l’aumento ponderale del figlio insufficiente anche se nella norma, dedica
al bimbo meno tenerezza ma molta
più sorveglianza, interpreta il pianto
del neonato come un rimprovero,
arriva a immaginare che il bambino
starebbe meglio in altre mani. La relazione con il neonato diventa difficile,
come se la mamma avesse paura di
lui. Anche la relazione di coppia ne
risente: il papà si preoccupa e potrebbe aggravare la situazione perdendo
la pazienza o controllando la donna.
Così come la madre fatica a riconoscere il proprio stato di sofferenza e
lo interpreta in termini morali sentendosi una “cattiva madre”, anche
la famiglia nega il malessere perché
l’arrivo di un bambino non può non
essere una cosa meravigliosa.
A questa idealizzazione della nascita
si accompagna molto spesso la mancanza di sostegno alla donna in gravidanza e nel post-partum. Le famiglie
d’origine sono lontane o disgregate,
è poco diffuso farsi seguire da un’o-
stetrica così come facevano le antiche
levatrici, i reparti di maternità consentono ricoveri molto brevi. La mancanza di una rete che possa contenere
i primi momenti del post-partum e
l’idealizzazione dell’incontro con il
bambino possono esporre la donna
ad un forte rischio depressivo, specie
quando il piccolo è un “bambino difficile” e l’incontro con lui non suscita
subito quell’amore ipotizzato. Fino
a non molto tempo fa la maternità
era un evento collettivo: la madre faceva parte di un complesso che non
era costituito solo dalla famiglia, ma
anche dal contesto. Attualmente la
maternità tende a diventare solitaria, se non individuale, nonostante
si sappia che difficilmente gli impegni
richiesti dalla maternità possano gravare su una sola persona. Eventi di
vita negativi, perdite o malattie gravi
nell’anno precedente la gravidanza
sono ulteriori fattori di rischio.
Molti studi esaminano gli effetti della sofferenza depressiva della madre
sullo sviluppo del bambino. La conti-
nuità affettiva e la qualità del maternage sono compromesse a causa degli
sbalzi d’umore e l’interazione madrefiglio è drammaticamente impoverita
(espressioni facciali e vocalizzazioni
ridotte). Di conseguenza risultano a
rischio tanto lo sviluppo affettivo del
bambino, quanto quello cognitivo ed
intellettivo.
È quindi più che auspicabile prevenire la depressione materna dando
ascolto ed importanza ai segnali prodotti dalla donna fin dalla gravidanza.