100% Fitness Mag - Anno VI Settembre 2012 | Page 70
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FILOSOFIA
LE RAGIONI DI UNA
RUBRICA CULTURALE IN
UN MENSILE DI FITNESS
L
uis Aragon, un intellettuale francese del secolo scorso,
ebbe a dire che i greci avevano detto già tutto sull’uomo
e che la cultura occidentale, la quale prende l’avvio proprio dalla Grecia, non sia altro che una chiosa, ricorrente e ripetuta, di ciò che in quella grande stagione dell’umanità
è stato elaborato dal punto di vista filosofico, estetico, pratico,
persino politco, e non solo. Del resto la stessa cultura cristiana
che informato l’occidente non sarebbe stata possibile senza il
pensiero greco. Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino, vale a
dire i due massimi esponenti della filosofia e della teologia cristiano-cattolica, non sarebbero neppure pensabili senza Platone
e Aristotele, per loro esplicito riconoscimento.
Per cultura è chiaro che si deve intendere non solo la cultura
cosiddetta alta, accademica e libresca, ma tutto ciò che aiuta
l’uomo a trovare un equilibrio al suo interno e ad orientarsi nel
mondo.
Ora, se è sostanzialmente condivisibile l’opinione di Aragon, è
anche vero che, nel corso di parecchi secoli, molti aspetti del
mondo greco sono andati perduti per una serie di ragioni che
non è agevole affrontare in pochi righi. Quel che è certo è che
l’armonia tra corpo e mente dell’uomo, testimoniata dalle opere d’arte, è stata frantumata in una pluralità di aspetti che non
trovano facilmente la strada per ricomporsi, come testimonia
l’arte del Novecento, la quale, anche nelle sue espressioni più
alte e significative, ci presenta un essere umano ridotto in cocci
e brandelli. Corpo, psiche, mente, anima, nelle nostre società
schizoidi, compiono percorsi diversi, opposti se non contraddittori. Il più delle volte i dissidi, le discordanze, i conflitti interni
finiscono con il produrre quei malesseri diffusi che sono all’origine di tante malattie tipiche del nostro tempo.
I greci non conoscevano la frattura tra corpo e mente e ignoravano l’uomo ridotto a produttore-consumatore di cui, sul
finire degli anni sessanta, parlava Herbert Marcuse nel suo dimenticato “Uomo a una dimensione”. Sulla scorta del “Disagio
della civiltà” di Freud, egli metteva in guardia dai rischi che
cominciavano farsi strada nelle nostre società malridotte, rischi
cui Pier Paolo Pasolini avrebbe dato il nome di “mutazione antropologica”. Mutazione che è ancora in atto e che è giusto che
avvenga in quel fluire incessante che caratterizza da sempre l’umanità e i mondi che essa crea di volta in volta. Tutto ciò non
dovrebbe, tuttavia, produrre smarrimenti, alienazioni, angosce,
senso di impotenza, fughe da sé, per usare termini a noi così
familiari e che stanno a indicare che, spesso, “siamo stranieri in
casa nostra” (Freud). Ed infatti somigliamo a quei turisti che visitano le città dai pullman, senza quella curiosita, partecipazione
che Aristotole chiamava “meraviglia”. Questa sola può farci ad-
Domenico Casa
Consulente filosofico
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dentrare nella grandezza della nostra realtà interna ed esterna.
Siamo indotti spesso ad accontentarci della superficie delle cose
laddove dovremmo essere dei sub, dei sottomarini, alla continua
scoperta della nostra umanità e della profonda unità tra corpo,
psiche, mente e anima, come i greci ci hanno insegnato prima
che si imponesse, lungo il corso dei secoli, una lettura distorta
dell’uomo diviso tra corpo e anime, terra e cielo. Per essi tra
la palestra, i luoghi di lavoro e di culto, le scuole, le strade, la
casa, il talamo, i luoghi di divertimento, la mensa, non vi era
soluzione di continuità, come accade, invece, al nosrto coevo pirandelliano, frazionato e diviso, Adriano Meis, di “Uno, nessuno
e centomila”. Egli è costretto a una continuua metamorfosi e a
uno stressante cambiamento di identità e di condizione, perché
è difficile, molto difficile, nel nostro tempo, accogliere l’uomo
così com’è, senza maschere, con le sue miserie e la sua grandezza, essendo egli abitato sia da diavoli e che da splendide divinità.
A dire il vero, le culture orientali, specialmente il buddismo nelle sue varie scuole, hanno sempre avuto e conservano ancora il
senso dell’unità dell’uomo, offuscato e svilito dall’occidente. Ed
è altrettanto vero, però, che anche dal nostro tempo non è mai
scomparso il bisogno di una ricerca del senso dell’uomo e di una
ricomposizione delle sue parti scisse. Ne sono testimonianza le
opere artistiche, le esperienze religiose, le filosofie e, soprattutto
la letteratura, nella convinzione che tutto ciò che mira a far luce,
talvolta anche in forme dissacranti, o apparentemente distorte, o
dolorose e angoscianti (si veda l’”Urlo” di Munch, la “Guernica”
di Picasso, oppure si legga “Il processo” di Kafka e “Il viaggio
al termine della notte” di Celine), è opera dello Spirito, nella
espressione hegeliana, che si rivela e agisce dentro di noi. L’arte
in tutte le sue forme, oltre ad essere espressione dello spirito
del tempo, e in quanto tale costituisce un grande veicolo di
conoscenza, aiuta anche, stando a Schopenhauer, a superare i
momenti difficili della vita (si pensi a un bel film, alla lettura di
un romanzo, alla visita a un ]\