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FILOSOFIA
Eros e l’origine
del mondo
T
ra i tanti miti cosmogonici tramandati dal mondo antico,
ve n’è uno molto interessante che potrebbe aiutare a capire
una serie di cose riguardanti anche noi. Si tratta di una
versione tramandata dai seguaci di Orfeo e riportata dal
grande mitologo ungherese, Karoly Kerényi, nel suo libro “Gli
Dei e gli Eroi della Grecia”. Vi si racconta che in principio vi era
soltanto la Notte, divinità dinanzi alla quale, in seguito, lo stesso
Zeus avrebbe provato un sacro timore. “Fecondata dal vento, essa
depose il suo uovo d’argento nell’immenso grembo dell’oscurità.
Dall’uovo balzò fuori il figlio del vento, un dio con le ali d’oro,
chiamato Eros, dio dell’amore”.
Tralasciando il significato della notte e del vento che potrebbero
rappresentare il lato oscuro dell’amore, per il quale, non a caso, si
preferiscono il buio e la notte (esso inoltre coinvolge gli aspetti più
irrazionali, profondi, non sempre controllabili della nostra psiche)
mentre il vento riguarderebbe la rapidità con cui Eros colpisce e
nello stesso tempo fugge e svanisce come un ladro, apparentato
per questo con un’altra divinità, Hermes, il dio ladro e bugiardo, il
mito significa che senza l’amore, l’universo, e con esso l’umanità
così come la conosciamo noi, non sarebbe mai nato.
C’è chi ha scritto che l’amore è un’espediente umano, “un’astuzia
della ragione” come la chiamava Hegel, o una favola romantica per
tenere insieme gli uomini, i quali, abbandonati al gioco della passione sessuale, non sarebbero stati diversi dagli altri animali. All’opposto si trova la posizione di coloro i quali, a partire da Freud, non
fanno molta distinzione tra sessualità e amore. Più recentemente
lo psichiatra Morselli, direttore della rivista Riza psicosomatica,
più volte ha manifestato la sua convinzione che la sessualità sia
sicuramente una forma di amore. Anche in una delle sue recenti
pubblcazioni, “Ama e non pensare”, per gli Oscar Mondadori,
egli sostiene che sia da ascrivere alla realtà dell’amore anche la
relazione di pochi giorni o, quella ancora più fugace, di poche ore.
“Nessuna epoca – egli scrive – si è mai sognata di definire la differenza tra se