100% Fitness Mag - Anno V Ottobre 2011 | Page 40

IL RAPPORTO PADRE-FIGLIO Nei primi anni di vita, il bambino porta avanti il suo continuo lavoro di adattamento al mondo esterno prevalentemente attraverso il padre, sia nell’imitarlo, sia nell’accettarne o meno le imposizioni. Educare significa adattare pian piano la personalità del bambino al mondo adulto, contribuire a creare un nuovo equilibrio nel quale il figlio deve saper rinunciare a certe cose per ottenerne altre, subire frustrazioni e superarle, introiettando così il principio della realtà esterna. Nel periodo che va dallo svezzamento ai sette-nove anni, il padre riveste un’importanza fondamentale. Quando tale rapporto è vissuto pienamente, il figlio ha la possibilità di sopportare senza gravi traumi la rottura della simbiosi con la madre, accettando completamente il mondo esterno. Al settimo-ottavo mese subentra la crisi di angoscia, quando il neonato impara a vedere la madre come separata da sé. Proprio in questa fase, comincia a riconoscere una terza figura dominante: il PADRE. Tra gli otto e i dodici mesi la triade familiare appare agli occhi del bambino in tutta la sua chiarezza. Da qui inizia a delinearsi a poco a poco la funzione del padre, che interviene direttamente nella fase in cui il bambino si appresta a scoprire il mondo e, compiendo lo sforzo di adattamento, si pone in posizione difensiva e diffida di tutto (non a caso il bambino impara prima a dire “no” e poi “si”). Il padre, dunque, si interpone tra la sua paura e il mondo esterno, diventando simbolo di sicurezza, nume tutelare, l’essere forte e amato che lo protegge. Di fronte a qualsiasi frustrazione subita da estranei, grandi e piccoli, il bambino esclama: “lo dirò a mio padre!”. E’ evidente quindi la necessità che il padre dia sicurezza in tutti i sensi e non solo in quello materiale, pur di primaria importanza. 40 100% FITNESS MAGAZINE Verso gli otto-nove anni, poi, il padre stabilisce per il figlio il bene e il male, cioè i criteri di valutazione che corrispondono al significato di obbedienza e disobbedienza nei suoi confronti. Tutti noi ricordiamo come il nostro primo codice morale si sia formato sull’esempio dei genitori, ma soprattutto del padre. In sostanza, l’insegnamento morale non è mai frutto di sermoni, bensì dell’esempio concreto. Il figlio, identificandosi con il padre, si impadronisce del suo codice normativo; poi, man mano che cresce, comincia a distaccarsi da un legame così stretto e diretto con le norme parentali, per acquisire un proprio codice morale, al cui centro, tuttavia, continuerà sempre a trovarsi l’esempio paterno. Sarà cioè il continuo contatto con il mondo esterno a mutare in bene o in male tale codice normativo, e spesso il ragazzo dovrà superare molte e dure lotte con se stesso per modificare le norme errate trasmesse da in padre autoritario, troppo punitivo, rigido, ormai non più sostituibile con un padre giusto, autorevole e amico. Chiaramente, il processo sarà ancora più difficile nel caso si debbano sostituire le norme di un padre immorale o addirittura delinquente con norme corrette e socialmente “buone”. Il vecchio adagio secondo cui la madre insegna ad amare e il padre a vivere,trova qui senz’altro una conferma: il bambino, testimone del grande e complesso dialogo che si svolge tra il padre, la madre e la vita, impara la legge del vivere sociale. E’ quasi inutile sottolineare quanto gravi possono essere per il figlio le difficoltà di adattamento causate da un’eventuale assenza della figura paterna, o da una sua presenza negativa. L’assenza del padre, anche se determinata da morte, prigionia, divorzio ecc., può da un lato provocare un forte senso di insicurezza, e dall’altro interrompere quel processo di identificazione che, come abbiamo detto, si rivela fondamentale per la formazione del codice morale. In questo senso,però, non è pericolosa soltanto l’assenza reale del padre, ma anche quella spiritualepsicologica……