SCOPERTE
SCIENZA
A L I M E N TA Z I O N E
SALUTE
C U R I O S I TÀ
CHI SEGUE
BERE ACQUA PER IDRATARE LA PELLE
UNA DIETA CAMPA
CENT’ANNI
Soprattutto d’estate quando si secca più facilmente.
Studio Usa: mangiare meno e meglio allunga la durata della vita. Specie se si fa
anche attività fisica costante
Ci stressa e ci infelicita la vita, spesso senza neanche troppo successo. Ma essere a
dieta può farci vivere più a lungo.
È la conclusione principale di uno studio
condotto sui topi da un gruppo di ricercatori
della University of Alabama in Birmingham
(Usa) e pubblicato sulla rivista “American
Journal of Physiology”.
Gli esperti hanno dimostrato che i topi che
mangiano di meno e fanno esercizio fisico
hanno anche livelli molto bassi di insulina,
che regolano a loro volta i livelli di glucosio nel sangue. E questo avrebbe aiutato le
cavie a mantenersi in forma e a vivere più
a lungo. “Non sappiamo ancora se questo
effetto valga anche per gli uomini”, ha spiegato Derek Huffman, coordinatore dello studio, “ma di sicuro i vantaggi di una dieta
combinata con una regolare attività fisica
sono importanti”.
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Due litri d’acqua al giorno: è il consiglio degli esperti per avere sempre una pelle sana
e idratata, soprattutto in questa stagione. Il processo ininterrotto di perdita fisiologica
d’acqua cutanea attraverso la pelle può essere quantificato mediante sofisticati test,
attraverso i quali si può conoscere il grado di disidratazione della pelle e intervenire di
conseguenza, eliminando l’eventuale causa. Molti fattori concorrono, infatti, a questo
processo, che di solito si manifesta con progressiva desquamazione: dall’esposizione
al sole, all’uso di farmaci e detergenti, alle malattie.
LAVORO TROPPO STRESSANTE?
Cuore ad alto rischio
Un maxistudio britannico
conferma: per chi ha meno
di 50 anni, il pericolo di
sviluppare malattie cardiache aumenta del 70%.
Lo stress da lavoro fa molto
male al cuore. E aumenta
notevolmente il rischio di
sviluppare patologie cardiache. Lo dimostra il più
grande studio di questo
tipo mai condotto, pubblicato sulla rivista “European
Heart Journal”, a cura dello University College di Londra. L’indagine ha coinvolto oltre 10
mila impiegati statali ed è stata coordinata dall’epidemiologa Tarani Chandola.
Gli under 50 che consideravano il proprio impiego parecchio stressante avevano circa il
70% di probabilità in più di soffrire di patologie cardiovascolari. Non solo perché mangiavano male e non avevano tempo per fare attività fisica: mostravano anche i segni di
cambiamenti biochimici, tipico segnale di un cuore a rischio. “Durante i 12 anni in cui
sono stati seguiti i pazienti del campione”, ha spiegato l’epidemiologa che ha diretto
lo studio, “abbiamo verificato che lo stress cronico da lavoro è associato a malattie
coronariche. L’associazione è risultata significativa, senza distinzione di sesso, per i dipendenti con meno di 50 anni”. Meno evidente, invece, l’impatto biologico dello stress
sui lavoratori vicini alla pensione. Con questo maxi-studio, il primo del genere a vantare
questi numeri, i ricercatori svelano i meccanismi che legano stress e malattie. Lo stress
disturba la parte del sistema nervoso che controlla il cuore, dicendogli come lavorare
e controllando la frequenza del battito. I più ansiosi e agitati mostravano anche uno
scarso tono vagale, gli impulsi che regolano il battito. Non solo. Anche il sistema neuroendrocrino si mostrava alterato, con elevati livelli di cortisolo al mattino per i lavoratori
stressati. Non conta il livello di occupazione o la carriera: lo stress, con tutti i suoi effetti
sull’organismo, non conosce qualifiche.