100% Fitness Mag - Anno II Giugno 2008 | Page 48

che decretare l’equivalenza dei sistemi di valori per mezzo dei quali ciascuna cultura assolve al suo compito. Se tutte le culture si equivalgono e richiedono per questo un assoluto rispetto, è evidente che l’incrocio delle culture e l’acculturazione che ne deriva costituiscono un attentato alla loro integrità. Come capirete, in nome di questo “diritto alla differenza”, io devo chiudere gli occhi davanti a tutto ciò che lo straniero mi propina, perché è da rispettare nella sua diversità. È qui che io grido: NO! Si sa che la storia non si misura con il metro di un progresso né continuo né globale: essa contiene linee autonome di evoluzione e periodi di regressione; questo tuttavia non significa che manchi di orientamento e che non sveli progressivamente le aspirazioni fondamentali dell’uomo, al di là delle contingenze sociali e culturali. I valori culturali particolari indubbiamente debbono essere rispettati, ma non quando vanno a cozzare contro i valori riconosciuti dalla quasi totalità degli Stati del mondo come rispondenti alle aspirazioni fondamentali dell’uomo e che sono diritti universali. Negando la necessità dell’universale come orizzonte di tutte le relazioni interculturali equilibrate il «dogma del relativismo culturale» ha mitizzato un diritto alla differenza che va 48 100% Fitness Magazine a ritorcersi proprio contro coloro a beneficio dei quali era stato proclamato. Un diritto alla differenza che significa diritto alla chiusura, diritto alla repressione e, al limite, come accade in alcuni Paesi, diritto alla morte. Se è vero che vi sono tante etiche quante sono le culture e che ciascuna possiede una propria razionalità, che dall’esterno non può essere giudicata, bisogna ammettere che il diritto alla differenza legittima l’oppressione che una società, in nome della sua cultura, esercita sui suoi stessi membri, in attesa forse di esercitarla sugli altri. E, ancora una volta, io grido: NO! Pascal Brucaner in Le Sanglot de l’homme blanc, mette in risalto cosa può accadere in virtù del rispetto assoluto della diversità culturale: «si trovano le parole più persuasive per spiegare il cannibalismo di una tribù, la lapidazione della donna adultera, il taglio delle mani del ladro in certi paesi islamici o la mutilazione sessuale delle giovanette in Africa e nel Medio Oriente, la segregazione e il massacro degli intoccabili in India. L’argomento allora è questo: ciascuno ha una sua verità». Attenzione, il riconoscimento delle differenze può essere l’alibi intellettuale di tutte le politiche di apartheid. «Che gli altri restino ciò che sono e noi quel che siamo», è questo il senso. Alain Finkielkraut in La défaite de la pen- seé dice che ci sono, anche in certi ambienti religiosi o di volontariato, coloro che dicono: «Aiutare gli immigrati significa principalmente rispettarli così come sono e vogliono essere nella loro identità nazionale, la loro specificità culturale, le loro radici spirituali e religiose». Io non pos